Inaugurata la Galleria Vittorio Emanuele (nel 1867), l'illuminazione interna venne garantita fin da subito dalle lampade a gas, prodotto nelle Officine del Gas di porta Ludovica (solo nel 1885 si passò gradualmente alla luce elettrica).
La luce a gas era emanata da apposite lampade a candelabro, con azzurre fiammelle. Il gas veniva acceso da un operaio, uno dei tantissimi "lampeè" che provvedevano anche ad accendere i lampioni delle strade.
Il problema si pose per l'illuminazione della cupola, posta a 50 metri dal suolo. Impossibile salire ogni sera per dare la fiamma all'impianto del gas.
L'architetto Mengoni (il padre della Galleria) pensò anche a questo: fece costruire una piccola rotaia che scorreva a pochi centimetri dai beccucci per tutta la circonferenza della cupola. La rotaia era percorsa, all'atto dell'accensione, da un carrellino sulla cui sommità veniva acceso un tampone era imbevuto di liquido infiammabile.
Il carrellino (mosso da una carica manuale, a molla, come i trenini dei bambini) correva sul suo percorso accendendo gli ugelli dai quali usciva il gas. La mattina, bastava chiudere il rubinetto del gas per farli spegnere.
Tutte le sere, il carrellino correva proprio come un topolino (un rattin) ad illuminare la volta. Un momento magico, un vero spettacolo per grandi e piccini.
Fortunatamente, quando l'intero sistema andò in pensione (per l'arrivo della luce elettrica), il "rattin" fu conservato, e oggi Milano lo custodisce gelosamente (recentemente era in mostra al Castello, di solito è a Palazzo Morando).
Tutte le sere, il carrellino correva proprio come un topolino (un rattin) ad illuminare la volta. Un momento magico, un vero spettacolo per grandi e piccini.
Fortunatamente, quando l'intero sistema andò in pensione (per l'arrivo della luce elettrica), il "rattin" fu conservato, e oggi Milano lo custodisce gelosamente (recentemente era in mostra al Castello, di solito è a Palazzo Morando).
Mauro Colombo
maggio 2018
maurocolombomilano@virgilio.it