Il Senato di
Milano fu uno dei più potenti tribunali di massima istanza a livello
europeo, così temuto e prestigioso da tenere testa alle varie dominazione che
governarono Milano nel corso di tre secoli, dal XVI al XVIII.
I suoi membri furono sempre personaggi di spicco, provenienti dalle più illustri famiglie milanesi e lombarde.
I suoi membri furono sempre personaggi di spicco, provenienti dalle più illustri famiglie milanesi e lombarde.
Il Senato fu creato per volere di Luigi
XII d'Orleans, con l'editto di Vigevano dell'11 novembre 1499. Suo desiderio
era infatti quello, sconfitto Ludovico il Moro e avanzando pretese sul ducato
milanese in qualità di discendente di Valentina Visconti, di riorganizzare il
sistema giudiziario secondo le nuove esigenze governative.
Il nuovo e potentissimo organo,
chiamato latinamente Senatus e che andava a sostituire sia il consilium
secretum sia il consilium iustitiae di stampo
visconteo-sforzesco, ottenne una vasta serie di prerogative, ben maggiori di
quelle detenute dai due consigli soppressi.
Accanto al diritto d'interinazione,
cioè il diritto di confermare e far eseguire gli atti del sovrano, il Senatus
fu depositario fin dall'inizio dell'amministrazione della giustizia, intesa più
che come gestione diretta delle singole cause (cosa che faceva solo in parte) soprattutto
come controllore delle magistrature inferiori presenti nel ducato.
All'atto della creazione ne dovevano
far parte diciassette membri (detti Senatores), scelti tra i personaggi di
spicco della città, e che già avevano fatto parte dei consigli sforzeschi.
Accanto a questi membri milanesi sedevano alcuni francesi, uomini di fiducia di
Filippo.
Col tempo però il numero dei
senatori andò aumentando, e già nel 1535, con il definitivo passaggio di Milano
nell'orbita dell'impero, si erano attestati a ventisette, oltre al presidente.
Vi erano dunque nove cavalieri, cinque prelati e tredici giureconsulti, questi
ultimi tutti lombardi, secondo la volontà dell'ultimo Sforza, Francesco II.
Come era facile che accadesse, i
senatori giuristi, proprio a causa della loro estrazione culturale, presero il
sopravvento sui membri laici, e si arrogarono il diritto di riservarsi le
attribuzioni prettamente giurisdizionali, e col passare degli anni i membri non
giuristi persero progressivamente d'importanza.
Questi dottori del diritto provenivano tutti dal patriziato milanese, all'interno del quale lo studio e la pratica giuridica erano intesi come massima forma di prestigio e potere.
Anzi, in pieno Seicento la maggiore aspirazione di un nobile giureconsulto collegiato lombardo era proprio quella di entrare tra il numero dei senatori, con la speranza, magari, di raggiungere la più prestigiosa carica: la presidenza.
Questi dottori del diritto provenivano tutti dal patriziato milanese, all'interno del quale lo studio e la pratica giuridica erano intesi come massima forma di prestigio e potere.
Anzi, in pieno Seicento la maggiore aspirazione di un nobile giureconsulto collegiato lombardo era proprio quella di entrare tra il numero dei senatori, con la speranza, magari, di raggiungere la più prestigiosa carica: la presidenza.
Quando nel 1541 furono promulgate
dall'imperatore le Nuove Costituzioni, compilazione di leggi elaborata da una
commissione di esperti con la finalità di organizzare in una sorta di testo
unico le miriadi di decreti viscontei e sforzeschi (diventerà la legislazione
provinciale fino a tutto il XVIII secolo), il secondo titolo del primo libro fu
dedicato alle prerogative del Senato, in pratica ricalcando l'editto di
Vigevano.
I
poteri del Senato
In materia di diritto civile, il
Senato era competente in primo grado a decidere su controversie relative a
cause ritenute ardue o di alto valore economico, in materia di confini tra
fondi, in diritto di famiglia e successorio, nomina di tutori, rapporti
obbligatori tra privati, e in materia di cause feudali: "Cognoscet(que)
Senatus de causisi marchionatuum, comitatuum et quorumqumque feudorum, sive lis
et contentio oriatur inter principem et vassallos, et seu inter ipsos
vassalos". In tal modo la giurisdizione venne definitivamente tolta ai
pares curiae, cioè ai vassalli dipendenti da uno stesso signore, o al dominus.
Inoltre, era giudice d'appello per
le sentenze emesse dalle altre magistrature superiori del ducato, e corte di
ultima istanza per ogni reclamo avverso giudicati di grado inferiore.
In materia di diritto criminale, il
Senato aveva ogni e più ampio potere discrezionale, con l'unica (certa)
esclusione della concessione della grazia, potere riservato al principe.
Quando il caso non era direttamente
sottoposto al Senato, a questo comunque spettava l'ultima decisione per i
giudizi istruiti nello Stato per i reati comportanti pene corporali, pena di
morte e confisca dei beni.
Tutti i giudici inferiori della
città, primo tra tutti il Capitano di giustizia, dovevano settimanalmente
recarsi presso il Senato onde relazionare le cause trattate . Per queste
incombenze era di norma addetto il senatore di turno, che riceveva e
sentenziava direttamente in casa propria, mentre la decisione collegiale, presa
cioè durante la riunione di tutti i senatori, era riservata alle cause delicate
o estremamente controverse.
Infine, tra i residuali compiti
attribuiti al collegio, vi era quello di amministrare l'università di Pavia
(dove "nascevano" i giuristi lombardi dell'epoca), la censura dei
libri stampati nel Ducato, e la tutela della salute pubblica, sovrintendendo
sull'operato del magistrato di sanità.
Per comprendere l'enorme potere di
cui questo supremo tribunale godeva, si pensi che poteva modificare o
disapplicare la legge nel caso concreto sottopostogli, potere che sfociava
dunque nella capacità di creare nuove norme. Accadde così sempre più spesso che
il Senato (come del resto i grandi tribunali dell'epoca: la Rota romana, il
S.R. Consiglio di Napoli), pur dovendo in teoria solo applicare la legge, si
arrogò in pratica il potere legislativo, potendosi allontanare
discrezionalmente dalle norme scritte e seguendo i dettami dell'equitas.
Questo modo di operare era tollerato
dal potere politico, se non addirittura autorizzato, dato che, comunque, senza
tale potere discrezionale i giudici avrebbero non poco faticato nel venire a
capo delle lacune e delle incongruenze del diritto vigente, sempre minato
dall'eccessiva frammentazione delle fonti, della procedura macchinosa e dalla
difficoltà di comprensione delle norme.
Lo spirito di onnipotenza che
aleggiava sul Senato lo spinse a mostrarsi in più di un'occasione insofferente
nei confronti del sovrano, quest'ultimo quasi sottomesso, in certi campi,
proprio a causa del già menzionato diritto d'interinazione senatoriale.
Si pensi che del Senato si arrivò ad
affermare che giudicava "ut principes" e che sentenziava "divino
quoddam efflatu" (Cavanna). Il Senato infatti guardava alla verità del
fatto, piuttosto che alle leggi, e poteva condannare a morte sulla base di
indizi e senza prova certa legale.
Le sentenze del Senato, non
motivate, avevano valore di precedenti, e dovevano rispettarsi nel futuro come
fossero vere e proprie leggi, secondo una interpretazione compiacente ricavata
da un passo del Digesto.
Inoltre, le sentenze dei tribunali inferiori contrarie ai precedenti del Senato erano bollate come "iniustae" e di conseguenza riformate. Per questa ragione il Senato milanese vide nascere raccolte a stampa di sue decisiones (sentenze), come succedeva per gli altri tribunali centrali presenti nelle varie realtà politiche italiane.
Inoltre, le sentenze dei tribunali inferiori contrarie ai precedenti del Senato erano bollate come "iniustae" e di conseguenza riformate. Per questa ragione il Senato milanese vide nascere raccolte a stampa di sue decisiones (sentenze), come succedeva per gli altri tribunali centrali presenti nelle varie realtà politiche italiane.
Ad occuparsi della raccolta e della
diffusione delle sentenze in un mercato librario in forte crescita erano di
norma gli stessi alti giudici innanzi ai quali le cause erano state discusse,
oppure persone comunque vicine agli ambienti giudiziari.
Se con Carlo V il Senato aveva
ottenuto, se possibile, ancora più potere, con Filippo II dovette scontrasi più
volte, intenzionato questo a mettere un freno allo strapotere e agli abusi
tanto ricorrenti del sistema della burocrazia lombarda. Ciononostante, il
sovrano mantenne sempre, per rispetto e per opportunità, le prerogative dei
senatori, cercando di mediare e bilanciare i loro poteri con quelli spettanti
al Governatore.
Vero schiaffo fu l'emanazione dei
cosiddetti ordini di Tomar, che Filippo II promulgò nel 1581, col fine di
correggere le disfunzioni legislative ed evitare i conflitti tra poteri, non
senza espliciti rimproveri all'abuso di potere di cui il Senato quotidianamente
si macchiava.
Ma anche in quella occasione il
Senato seppe rispondere per le rime e tenere testa alla corona.
Il
lavoro quotidiano
Le cause sottoposte all'attenzione
del Senato erano migliaia, sia civili che penali. Ciò, come detto, era dovuto
al fatto che oltre a conoscere direttamente le cause nelle materie
prestabilite, spessissimo avocava a sé cause di altri giudici inferiori.
Inoltre, soprattutto in campo civile, era solito spedire ordini, detti
rescritti, a tali giudici, con le istruzioni di merito o processuali per
dirimere le controversie innanzi a loro pendenti.
Le parti processuali chiedevano poi in continuazione il parere senatoriale sulle cause che le vedevano coinvolte presso i giudici minori.
Per questo la mole di lavoro che gravava sui singoli membri era enorme, pur coadiuvati da decine di cancellieri e segretari, che si occupavano della stesura degli atti e alla conservazione dei documenti.
Le parti processuali chiedevano poi in continuazione il parere senatoriale sulle cause che le vedevano coinvolte presso i giudici minori.
Per questo la mole di lavoro che gravava sui singoli membri era enorme, pur coadiuvati da decine di cancellieri e segretari, che si occupavano della stesura degli atti e alla conservazione dei documenti.
I senatori, tra l'altro, nel
Seicento si erano ridotti al numero di 15, compreso il presidente, ma tale
numero dovrebbe essere in realtà ridotto, se si considera che concretamente
erano assai meno i membri davvero operanti. Infatti i due di prima nomina erano
inviati per due anni presso le preture di Pavia e Cremona, molti erano anziani
o addirittura impossibilitati causa salute a prestare servizio, essendo la
carica attribuita a vita, senza contare che ad ogni epidemia di peste la
situazione si faceva molto precaria.
Il sistema comunque poteva reggere
grazie alla trattazione delle cause operata disgiuntamente, dal singolo
senatore
Come detto il consesso interveniva
solo per le cause maggiori, sulla base della istruttoria preparata del senatore
di turno o "di lettura".
Il collegio sedeva in tale occasioni
nell'aula predisposta nel piano nobile del palazzo regio ducale, in giorni ed
orari prestabiliti. Qui, fattisi un'idea della causa, discutevano e votavano,
esprimendo la motivazione a turno ed in latino.
Il
declino settecentesco
Il Settecento segnò per la città la
fine di un'epoca e l'inizio di una nuova stagione.
Quando infatti, a partire dal 1706,
il Ducato divenne provincia dell'impero asburgico, il Senato cominciò a
rivelarsi eccessivamente arroccato su posizioni ormai superate, ostinandosi a
sbandierare il potere che gli derivava direttamente dalle Nuove Costituzioni.
Nel 1740, salita al trono Maria
Teresa, venne varata una linea riformistica della struttura statale,
all'interno della quale non poteva esserci ancora posto per il Senatus
Excellentissimus Mediolani e per i suoi ordines.
L'istituzione milanese (ed il suo modus
operandi) era ormai bersaglio anche degli scritti illuministici, tra i
quali si devono ricordare le opere del Beccaria, dei fratelli Verri, ed in
generale gli articoli prodotti in seno al gruppo "Il caffè".
Fu però Giuseppe II ad intervenire
radicalmente: nel 1786 il supremo tribunale venne abolito con editto
dell'undici febbraio. Vennero anche abrogate le Nuove Costituzioni e riformata
la procedura criminale.
Davanti a tutti quegli
sconvolgimenti, il Verri scrisse: "Giuseppe Secondo conobbe che il sistema
era viziato; ma non conobbe che una contemporanea ed universale distruzione
delle leggi e delle pratiche d'un paese è un rimedio peggior del male. Si
videro i senatori senza alcuna distinzione e mutato titolo, andare avviliti al
nuovo tribunale. Nuova forma, metodi, vocaboli, ebbero i tribunali di
giustizia".
Scriverà poi, parlando di quegli
anni ricchi di cambiamenti, il Cattaneo: "Si abolirono le preture feudali,
s'abolì un Senato, sul quale pesava la memoria di supplizii iniqui e crudeli
(…), si abolì la tortura, che puniva nell'innocente i delitti dell'ignoto,
sparvero le fruste, le tenaglie infocate, le orribili rote,
l'inquisizione".
Morì così un'istituzione milanese,
che nel bene e nel male era stata la protagonista indiscussa per quasi tre
secoli.
Di seguito indichiamo i nomi dei
Senatori che furono Presidenti del Senato, segnalando la relativa data di
investitura. Si tenga presente che la carica era concessa a vita.
I PRESIDENTI DEL SENATO DI MILANO
|
|
Data di investitura
|
Senatore
|
1° marzo 1531
|
Giacomo Filippo Sacchi
|
24 ottobre 1550
|
Marco Barbavara
|
17 dicembre 1552
|
Pietro Paolo Arrigoni
|
1° settembre 1565
|
Gabriele Casati
|
18 novembre 1569
|
Giovanni Battista Rainoldi
|
11 dicembre 1587
|
Giacomo Riccardi
|
21 febbraio 1597
|
Bartolomeo Brugnoli
|
18 febbraio 1604
|
Giacomo Mainoldi
|
15 novembre 1612
|
Agostino Domenico Squarciafico
|
31 gennaio 1619
|
Giulio Arese
|
29 giugno 1627
|
Giovanni Battista Trotti
|
30 maggio 1641
|
Ottaviano Picenardi
|
15 dicembre 1646
|
m. Luigi Cusani
|
17 novembre 1660
|
c. Bartolomeo Arese
|
24 giugno 1675
|
c. Carlo Belloni
|
24 marzo 1683
|
Luca Pertusati
|
6 febbraio 1697
|
Giorgio Clerici
|
1706
|
c. Luca Pertusati
|
9 aprile 1711
|
m. Giorgio Clerici
|
10 dicembre 1733
|
c. Carlo Pertusati
|
25 gennaio 1734
|
m. Carlo Castiglioni
|
29 settembre 1736
|
c. Carlo Pertusati
|
25 agosto 1751
|
m. Giovanni Corrado de Olivera
|
Vedi anche l'articolo su Bartolomeo Arese
Sulla sede del Senato vedi: Palazzo Reale dagli Spagnoli ai Savoia
Sulla sede del Senato vedi: Palazzo Reale dagli Spagnoli ai Savoia
Bibliografia
AA.
VV.: Bibliotheca Senatus mediolanensis, 2002;
Cattaneo,
C.: Notizie naturali e civile su la Lombardia (1844) in Scritti su
Milano e la Lombardia, 1990;
Cavanna,
A.: La codificazione penale lombarda, 1975;
Massetto,
G.P.: Saggi di storia del diritto penale lombardo, 1994;
Petronio,
U.: Il Senato di Milano, 1972;
Tra
le molte raccolte di pronunce senatorie:
-
Ordines excellentiss. Senatus Mediolani editi circa eiusdem decreta fienda in
civilibus causis et criminalibus, necnon de iis quae per iudices huius Dominij
in memoratis causis servari debent, 1580;
-
Ordines excellentissimi Senatus mediolani ab anno MCDXC usque ad annum MDCXXXIX
collecti et scholiis ornati ab olim j.c. Angelo Stephano Garono. (…), 1743.
mauro colombo
2001
ultima modifica: giugno 2014
maurocolombomilano@virgilio.it