lunedì 16 giugno 2014

La villetta liberty di porta Magenta


 In  quella che oggi è la via Toti n.2  (naturale continuazione dell’attuale piazzale Baracca) sorge
un palazzo di 5 piani degli anni cinquanta.


A ben guardare però si nota come il piano terra e il primo piano siano di stile ed epoca ben diversi: sono le tracce di quella che all'inizio del novecento era una villa nobiliare.
Ecco la villa come appariva negli anni Venti, già schiacciata da due palazzi:


Alla fine dell'Ottocento questa era una zona di Milano destinata a nuova urbanizzazione, ancora caratterizzata da ortaglie e terreni agricoli pronti per la speculazione edilizia. La porta Vercellina o Magenta, nella cinta muraria di epoca spagnola, ricostruita nel 1805 dal Canonica, era stata da poco demolita, a partire dal  1895, e identica sorte subivano mano a mano i muri di difesa, permettendo di unire due territori separati.
In questo contesto urbano,  un nobile austriaco commissionò la costruzione di un caratteristico villino che ben si contestualizzasse con l’aspetto ancora campestre del circondario, per meglio seguire le proprie passioni amorose in terra milanese. 

La porta magenta in fase di demolizione
Ufficialmente, l’area sulla quale doveva sorgere l’edificio di due livelli affacciato sul piazzale  Magenta e sul tratto di strada ancora detto dei Bastioni di porta Sempione, era stata acquistata nel 1905 da  un certo Umberto Locarno, che secondo quanto risulta, altri non era se non un prestanome di un non meglio identificato principe d’austria-ungheria, il cui nome rimase per vari motivi segreto, cosa che ha fatto anche pensare alla presenza, in questa strana committenza, di uno dei tanti figli illegittimi dell’imperatore Francesco Giuseppe.
Il principe, tuttavia, potè sfruttare la residenza milanese, terminata nel 1909, solo per pochi anni, trovando la morte nel 1914, in una delle battaglie polacche della I guerra mondiale.
La progettazione dell’edificio, pensato come una piccola villetta in stile liberty,  fu affidata all’architetto Gattermayer, che in Italia lavorò anche per progetti di restauro storico, come nella chiesa di Abbiategrasso. Questi, si avvalse dell’aiuto del più noto architetto Adolf Loos, per lo studio delle decorazioni e degli inserti più prettamente artistici. 
Adolf Loos
Loos, austriaco (1870-1933) è considerato uno dei pionieri dell’architettura moderna. Lavorò sia a  Vienna (dove progettò villa Steiner e la curiosa casa Scheu, con una copertura a terrazza, fatto del tutto nuovo per l’epoca),  sia a Parigi, anche se qui la maggior parte dei suoi lavori rimase allo stadio embrionale di progetto o studio, salvo il celebre caso dell’abitazione realizzata per il fondatore del dadaismo, Tristan Tzara (a Montmartre, in avenue Junot n. 15).
L’edifico nato da tale collaborazione risultò così essere una abitazione di dimensioni contenute (all’incirca 250/300 mq) con affaccio su strada e cortiletto: il piano terreno, pensato per le occasioni mondane e i piccoli ricevimenti, caratterizzato da due ampi saloni e alcune salette o fumoir; il primo piano, al quale  si accede attraverso un grazioso scalone, per ospitare l’appartamento privato, quindi le camera da letto e un piccolo studio-biblioteca con affaccio sul terrazzino.
Oltre il cortiletto, come detto, venne edificato il curioso spazio per la servitù, i cavalli e le carrozze, ospitati in una sorta di chalet bavarese tanto caratteristico quanto insolito per gli stili presenti in città.

Gli interni vennero arredati secondo uno stile settecentesco e ottocentesco, probabilmente frutto di acquisti effettuati direttamente dal proprietario o comunque provenienti dalla sua collezione austriaca. Un’eccezione,  lo specchio a riquadri, molto suggestivo e già, per l’epoca, fortemente moderno, ideato dal solito Loos e inserito nella saletta rosa, la prima sulla destra per chi entra nella residenza.
Nella successiva saletta verde, si nota invece una  boiserie settecentesca proveniente dalla Sicilia.
Nel salone oro troviamo un ritratto di scuola inglese di lady Arundel, probabilmente inserito per mere esigenze estetiche o collezionistiche  (curiosamente, comunque, uno dei codici di Leonardo prende il nome dal suo proprietario, lord Arundel, che poi lo donò al British museum).
Infine, nel salone rosso un’altra acquisizione collezionistica: un arazzo manifattura di Bruxelles XVIII secolo.
Qui un articolo sulla nascita di piazzale Baracca e suo monumento all'eroe dell'aria.
Milano, giugno 2014
ultima modifica: gennaio 2015
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