Pochi mesi dopo lo scoppio della guerra, e prima
ancora che l'Italia decidesse di prendere le armi al fianco dell'alleato
tedesco, la nostra penisola fu oggetto di numerose missioni aeree di
ricognizione da parte delle forze armate inglesi, che intendevano monitorare il più
esattamente possibile il territorio di quello che, secondo il loro oculato
punto di vista, sarebbe stato un futuro nemico.
Nel
giugno del 1940, ad un mese dalla dichiarazione di guerra italiana, iniziarono
i primi bombardamenti aerei su Torino, senza tuttavia grandi ripercussioni, sia
a causa dell'ancora poco organizzato Bomber Command inglese, sia per l'esiguo
numero di aeroplani utilizzati nelle missioni. Ciononostante,
la popolazione delle grandi città comprese tristemente quale destino si
prospettava innanzi.
Parte I: Lo scenario
Obiettivo Milano
Nel
1940 Milano era ritenuta dagli Inglesi un importante obiettivo militare,
essendo la più sviluppata città industriale d'Italia e una delle più rilevanti
a livello europeo, assieme a Torino e
Genova.
Il
servizio di informazioni industriali inglese, prima ancora dell'inizio dl
conflitto, si era procurato notizie dettagliate e mappe di tutte le principali
realtà produttive di Milano e provincia, tra le quali spiccavano la Alfa Romeo,
la Edoardo Bianchi, le Officine Galileo, la Magneti Marelli, le officine
Borletti, Tecnomasio Italiano Brown Boveri, la Pirelli, la Isotta Fraschini,
la Breda, la Caproni, l'Ansaldo e, ma non ultima, la Falk acciaierie.
La
città era ritenuta inoltre uno dei principali snodi ferroviari del Paese,
caratterizzata da 21 linee ferroviarie, da una delle stazioni più grandi
d'Europa e da importantissimi scali merci, tra i quali Lambrate e Farini, snodi
vitali per le suddette industrie.
I
rapporti stilati a conflitto già iniziato indicavano in un milione e centomila
gli abitanti della città, che gli stessi studi descrivevano divisa a cerchi
concentrici, il più interno dei quali (centro storico, all'interno della
cerchia dei navigli) risultava essere anche il più vulnerabile in caso di
intenso attacco aereo, sia perché maggiormente abitato, sia per la vicinanza
tra loro delle costruzioni, con strade prevalentemente strette. Si prevedeva
così, in caso di bombardamento anche mediante spezzoni incendiari, un facile
propagarsi del fuoco, pur dovendosi sottolineare che gli stessi rapporti
spionistici si rammaricavano per il materiale impiegato per la costruzione degli
edifici, e cioè quasi esclusivamente mattoni e cemento, causa questa di
maggiore difficoltà nel propagarsi degli incendi, i quali invece avevano dato
grandi risultati nelle città tedesche, ove abbondava l'impiego di materiali
lignei.
Alla
luce di tutto ciò, il bombardamento sistematico fu in un primo momento (fino a
tutto il 1943) rivolto a colpire la città "civile", mirando su case e
popolazione, affinchè questa terrorizzata spingesse sul Governo a chiedere un
armistizio; in un secondo tempo (dal 1944) si accanì su fabbriche e produzione
bellica, asservita alle esigenze tedesche.
Le difese della città
Benchè
circolasse la tranquillizzante voce che Milano fosse troppo
nebbiosa
per poter essere avvistata dagli aerei nemici, le Autorità avevano messo
in campo varie misure per scongiurare eventuali attacchi, o quantomeno
diminuirne gli effetti distruttivi.
Innanzitutto,
fin dal 1936 i nuovi edifici dovevano essere progettati con appositi
rifugi antiaerei sotterranei. Per gli altri palazzi, compresi quelli
pubblici, si provvide a puntellare le cantine, trasformandole in
ricoveri.
Comparvero così, dipinte con apposite vernici, le lettere che ancora oggi affiorano a ricordo di quegli anni terribili: R, I, US, C (e cioè Rifugio; Idrante;
Uscita di sicurezza, Cisterna).
Per evitare di essere facile bersaglio notturno, alla città venne imposto l'oscuramento: al calare della sera era vietata qualsiasi forma di illuminazione che fosse visibile dall'esterno. Pertanto, imposte chiuse o vetri coperti con carta azzurrata, fanali di tram auto e biciclette modificati in modo da avere solo una piccola fessura, soppressa l'illuminazione pubblica stradale.
Dal punto di vista
militare, la
difesa dagli attacchi dal cielo fu inizialmente affidata alla quinta legione
("La
Viscontea") della
Milizia Di.ca.t. (Difesa
contraerea
territoriale), che poteva vantare, tra ufficiali, sottufficiali e militi, quasi
9.000 uomini, dislocati sia in città sia sul resto del territorio milanese,
posizionati in zone strategiche e pronti in ogni momento a mitragliare gli
apparecchi nemici. Anche alcune fabbriche di grosse dimensioni erano dotate di
proprie batterie antiaeree, collocate di norma sui tetti dei capannoni.
Dopo
l'ottobre 1942 affluirono in Italia alcuni reparti della Flakartillerie
tedesca, dipendenti dalla Luftwaffe, per dar man forte alla Dicat, la cui
abilità nel difendere i cieli si era rivelata assai scarsa, tanto da non essere
quasi temuta dai bombardieri (oltrechè biasimata, al solito, nei rapporti ufficiali tedeschi).
Le
batterie tedesche vennero sistemate nei pressi di quelle italiane, al fine di
sfruttarne i già stabiliti collegamenti per le comunicazioni. Dopo
l'armistizio, scioltasi la Dicat, la difesa dei cieli spettò esclusivamente
alla Flak tedesca, che perciò venne potenziata sfruttando il personale italiano
della Repubblica Sociali Italiana.
Oltre
alla difesa organizzata da terra, erano sempre pronti a staccarsi in volo i
caccia della
Regia Aeronautica, di stanza negli aeroporti di Venegono e Lonate
Pozzolo (apparecchi
Macchi C 202 e
Fiat CR 42, più qualche Messerschmitt Bf 109
della Luftwaffe).
Infine,
dal lontano 1932 era stata istituita l'
Unione nazionale protezione
antiaerea (
UNPA), i cui addetti (inizialmente volontari) erano
incaricati di istruire la popolazione sul corretto comportamento da
tenere in caso di
bombardamento, far rispettare le norme sull'oscuramento, gestire i
rifugi antiaerei, assicurandone la fruibilità, ed intervenire in caso di
attacco dal cielo per soccorrere i feriti e liberare dalle macerie i
punti nevralgici della città, collaborando con i Vigili del fuoco.
L'ultimo tassello della difesa era rappresentato dai capifabbricato:
in ogni edificio venne prescelto un abitante, con l'incarico di
predisporre e mantenere efficienti i presidi antincendio per
salvaguardare il palazzo in modo che eventuali fiamme non si
propagassero più di tanto. Entrarono in vigore gli obblighi di ricoprire
di sabbia i sottotetti e i terrazzi in catrame; di rinforzare con
robusti pannelli i lucernari; di assicurare la presenza di acqua nelle
cisterne.
I portinai
degli stabili avevano inoltre il compito, durante gli attacchi, di
spalancare i portoni, per permettere ai passati sorpresi dall'incursione di
ripararsi dentro gli androni.
In caso di attacco, la
popolazione veniva avvisata del pericolo incombente da un primo piccolo allarme
aereo (sirena), dato con trenta
minuti di anticipo sull'attacco. Poi seguiva una seconda sirena, di grande
allarme, che precedeva di pochi minuti i primi sganci di bombe.
I
cittadini avevano dunque (almeno in teoria) il tempo di raggiungere le
cantine
rifugio (per i palazzi che ne disponevano o comunque dotati di locali attrezzati al caso) o i rifugi
collettivi più vicini.
I bombardieri
Nonostante tutti questi accorgimenti, Milano venne pesantemente bombardata tra il 1942 e l'agosto 1943 dagli aerei del Bomber Command della Royal Air Force britannica, con il preciso scopo di fiaccare la popolazione per spingere l'Italia alla resa.
Dopo l'armistizio, dal dicembre 1943 e fino al termine del conflitto, i
bombardamenti su Milano vennero effettuati dagli apparecchi MAAF
(Mediterranean Allied Air Forces) e USAAF (United States Army Air
Forces), con voli perlopiù diurni concentrati su obiettivi industriali
ormai asserviti alla produzione per l'esercito tedesco.
Per
poter comprendere appieno la potenza distruttiva di un bombardamento aereo
alleato, è opportuno dedicare poche ma significative righe agli apparecchi
utilizzati per le incursioni:
-
nel 1940, il Bomber Command inglese si avvalse di bimotori Armstrong Witworth
Whitley, aerei il cui carico di bombe dovette essere ridimensionato a causa del
lungo viaggio che dovevano compiere (Inghilterra-Milano e ritorno), quindi non
più di 2.000 chili;
-
dall'autunno 1942 fino all'estate del 1943, il Bomber Command utilizzò invece i
gioielli di famiglia, i quadrimotori Stirling (capaci di trasportare ciascuno
ben 6.000 Kg di bombe), Halifax (5.800 Kg), e Lancaster (6.500 Kg). Venne
impiegato anche il bimotore Wellington, il De Havilland Mosquito (bimotore per
ricognizioni, dal quale venivano sistematicamente scattate le fotografie dei
dopo-bombardamenti) e il famoso Spitfire, caccia per ricognizione e
mitragliamenti al suolo;
-
dal 1943, la
MAAF (Mediterranean allied air
force) e la
USAAF, usarono quadrimotori
Boeing B 17 Flying Fortress (le
fortezze volanti) e
B 24 Liberator, dotati di carichi distruttivi inferiori a
quelli inglesi. Tali aerei decollavano dalla Puglia e dalla Campania, ormai
liberate dal giogo nazi-fascista;
-
nell'ultimo periodo di guerra, volarono su Milano anche altri aerei
statunitensi, tra i quali il Republic P 47 Thunderbolt, dagli Italiani
ribattezzato Pippo, tragicamente famoso per incursioni solitarie sia notturne
che diurne per mitragliamento di strade e ferrovie.
Per
quanto riguarda le bombe aviotrasportate, gli Inglesi utilizzarono bombe
incendiarie di piccole dimensioni e classiche bombe da 250, 500, 1000 e 2000
chilogrammi. Raramente anche bombe da 6000 chili.
Gli
aerei statunitensi erano equipaggiati con bombe da 250 e 500 chili, ad alto
esplosivo e dirompenti.
Modalità degli attacchi
Gli
attacchi su Milano (come del resto su altre città) furono inizialmente solo
notturni: gli aerei inglesi del Bomber Command R.A.F. decollavano da basi posizionate nel sud
dell'Inghilterra verso l'ora di cena, attraversavano nella serata i cieli della
Francia, occupata dall'esercito di Hitler, varcavano le Alpi e a mezzanotte
piombavano sulla città, dove restavano per circa un'ora, per poi far ritorno
alle loro basi.
Svolgendosi
al buio, e non potendosi sempre contare su cieli tersi e lune piene,
l'incursione era preceduta dal passaggio di aerei detti "pathfinder",
cioè dei segnatraccia, che lanciavano dei luminosissimi bengala per mostrare ai
bombardieri la rotta e gli obiettivi.
Dopo
il 1943, gli aerei dell'USAAF attaccavano invece di giorno, a tutte le ore, con
maggiori rischi di essere abbattuti ma con più probabilità di centrare i
bersagli prestabiliti. Di solito decollavano al mattino dalla Puglia,
sorvolavano l'Adriatico, e dalla Romagna viravano puntando su Milano. Al
ritorno, questi aerei avevano la possibilità, ormai liberatisi del peso enorme
delle bombe, di cacciare liberamente con le mitragliatrici, su tutto ciò che
ritenevano utile colpire (treni in corsa, corriere, colonne militari in
spostamento).
Parte II: Cronologia dei bombardamenti
Anno 1940
Notte tra il 15 e il
16 giugno
Milano
subì il primo attacco aereo dopo soli cinque giorni dall'entrata in guerra
dell'Italia. L'allarme
antiaereo fu dato alla 1.48. Vennero colpiti diversi edifici, e si contarono un
morto e alcuni feriti.
Notte tra il 16 e il 17
giugno
Alle
22.30 suonò l'allarme in seguito all'avvistamento di 8 aerei che sorvolavano i
cieli di Milano. Secondo allarme alle 0.23 per altri bombardieri in
avvicinamento da sud, poi ancora un allarme quindici minuti dopo, per aerei che
sganciavano bengala in zona attigua alla Caproni, che poi fu effettivamente
colpita da circa 25 bombe. Alla
1.00, segnalati aerei da nord diretti a sud, alle 2.00 sgancio di bombe sulla
Milano-Laghi. Ultimo
allarme alle 5.04, e alle 6.22 definitivo cessato allarme. Danni non rilevanti.
Notte tra il 13 e il 14
agosto
Dopo
quasi due mesi di tranquillità, alla 0.55 allarme per aerei provenienti da Como,
Varese e Domodossola. Vennero
sganciate bombe e volantini di propaganda. Si contarono 15 morti e 44 feriti,
dovuti ad attacchi concentrati nelle vie Sarpi, Settala, Moscova, e viale
Padova. Altri danni a Greco e in via Messina. La
Dicat sparò numerosissimi colpi, senza tuttavia poter colpire apparecchi
inglesi.
Notte tra il 15 e il 16
agosto
Allarme
alle 0.40, ma a causa del fuoco contraereo della Dicat, gli aerei inglesi si
liberarono del loro carico di bombe su Merate e Mariano Comense. Un velivolo Wellington
fu abbattuto, provocando la morte di uno dei cinque piloti.
Notte tra il 18 e il 19
agosto
Allarme
alle 0.40, furono sganciate 14 bombe (colpiti stabilimenti Innocenti a
Lambrate, Caproni e aeroporto Forlanini-idroscalo).
Notte tra 24 e 25 agosto
Allarme
alle 0.49, ma sgancio di bengala.
Notte tra il 26 e il 27
agosto
Allarme
tra la 1.00 e le 3.00. Nessuna bomba sganciate, due aerei inglesi abbattuti
(uno nell'Appennino ligure, uno presso Arese).
Notte tra il 18 e il 19
dicembre
Il
Bomber Command si rifece vivo dopo più di tre mesi di silenzio.
L'allarme durò dalle 2 alle 4.30: distrutta una cascina ad Assago e
colpita la via Col di Lana a Milano (otto morti, 16 feriti).
Anno 1942
Se
il 1941 era trascorso senza missioni del Bomber Command, che aveva
preferito concentrare le proprie forze in altri scenari di guerra, il 1942 (che
sembrava un'annata tranquilla) mostrò la preparazione e la determinazione
inglesi nel mese di ottobre.
Pomeriggio del 24
ottobre
La
cittadinanza fu colta di sorpresa quando il suono delle sirene si sovrappose al
rumore del traffico alle ore 17.57: innanzitutto perché da più di un anno gli
aerei avevano disertato i cieli milanesi, inoltre perché fino ad allora gli
attacchi erano stati sempre effettuati durante la notte. Ma
quello che più sorprese, fu il fatto che le prime bombe cominciarono a cadere
appena tre minuti dopo l'allarme, che evidentemente era stato dato con
colpevole ritardo. Circa
73 aerei Lancaster si riversano ad ondate sulla città, in un orario di
affollamento e movimento intenso. La Dicat intervenne già spiazzata, cercando
di rimediare a tutta una serie di errori difensivi (che infatti le vennero
rimproverati nei giorni successivi, anche sulla stampa). Le
bombe sganciate furono di tutte le dimensioni, tra le quali ben 12 da 2000
chili, più di 2.000 bombe incendiarie di grosso calibro e più di 28.000 di
piccolo calibro.
La
seconda fase dell'attacco fu disturbata dal fumo degli incendi subito
divampati, che saliva a cinquecento metri di quota schermando il cielo. Si
levarono in volo, per intercettare i bombardieri, cinque aerei
dell'Aeronautica, senza successi importanti. Un Lancaster si schiantò al suolo
dalle parti di Segrate, abbattimento forse attribuibile alla contraerea
installata presso la Caproni. Al
termine del raid, i morti risultarono 135, i feriti 331, alcuni dei quali non sopravvissero.
Vaste zone della città
risultarono
danneggiate o
devastate. Secondo il rapporto della prefettura,
subirono gravi danneggiamenti gli stabili in
via Pantano, via
Velasca e
corso
Roma (corso di porta romana) ai civici 7,9 e 10; due stabilimenti in zona Ticinese e
la
via S. Cristoforo; piazza
Tricolore, viale
Montenero (civici dal 72 al 76 e
73), via
Archimede, via Melloni, il
Macello e il mercato ortofrutticolo (scalo
Vittoria), via Messina, Lomazzo, Sarpi, Aleardi, corso Buenos Aires (civici 33
e 58), piazza Bacone, via Oxilia (civici dal 23 al 29 e 26), via Sauli (dal 18
al 28).
Il
carcere di San Vittore fu danneggiato, e a causa dell'abbattimento di un muro perimetrale
e del parapiglia seguitone, un centinaio di detenuti si diede alla fuga.
Ad un centinaio di metri di distanza, andò gravemente danneggiata la
Carrozzeria Castagna, tra via
Valparaiso e via
Montevideo.
Il
disastro obbligò il Comune a predisporre scuole ed edifici pubblici per
accogliere i senzatetto, mentre la cittadinanza si lamentò dell'insufficienza
dei rifugi pubblici, dimostratisi in numero inferiore rispetto alle concrete
esigenze di riparo durante gli attacchi.
Nell'immagine seguente, una foto scattata da un Lancaster che testimonia la fase del bombardamento. La foto ritrae la zona compresa tra Papiniano e il Cordusio, mentre le bombe esplodono sulla via Conca del naviglio e in via Ausonio.
Notte tra il 24 e il 25
ottobre
Gli
incendi causati dall'incursione pomeridiana ancora divampavano, quando alle
22.44 piombarono su Milano altri bombardieri inglesi. Tuttavia
l'attacco risultò notevolmente inferiore a quello diurno appena effettuato, a
causa dei pochi aerei che effettivamente riuscirono a raggiungere la città,
avendo lo stormo subito lungo il tragitto numerose perdite (causa temporale e
contraerea svizzera). Molte
bombe si dispersero così sul territorio circostante Milano, alcune finirono
addirittura sulla certosa di Pavia e a Vigevano.
Per
migliaia di milanesi
iniziò nelle giornate successive lo
sfollamento: tutte le sere dei giorni feriali
grandi masse si accalcavano su corriere e treni (ma c'è chi doveva arrangiarsi
con biciclette) per passare la notte, dopo un giorno di duro lavoro, in zone
limitrofe ritenute non soggette a bombardamenti notturni, trovando casa presso
locali messi a disposizione da contadini.
Alla
fine del 1942 cominciarono ad essere ridotti i trasporti pubblici cittadini,
soprattutto per mancanza di pezzi di ricambio. Molte linee vennero soppresse, e
le corse iniziarono ad avere frequenza ridotta.
Anno 1943
Dall'inizio
dell'anno la Dicat, dopo avere dato prova di scarsissima preparazione ed
efficacia, era stata affiancata dalla Flak tedesca. Il Bomber Command era
intanto stato potenziato e perfezionato, ed aveva iniziato la distruzione
sistematica delle città tedesche.
A
Milano, intanto, la razione di pane giornaliera scese a 150 grammi, i buoni del
tesoro persero valore e tra la popolazione prese piede il baratto, unico
sistema per procurarsi di che vivere.
Notte tra il 14 e il 15
febbraio
Il
preallarme suonò alle 21.30, e dopo mezz'ora, alle 22.06, il grande allarme.
Circa 138
Lancaster del Bomber Command iniziarono a
sganciare le bombe alle 22.34. La rotta era stata tracciata da numerosi
pathfinder dal Lago Maggiore in poi.
Un
solo aereo fu colpito dalla contraerea, e si schiantò in fondo a via Boffalora,
alla
Barona. Un membro dell'equipaggio non fu più trovato, ed uno dei motori
venne dissotterrato nel 1990, durante i lavori per la costruzione del capolinea Famagosta della metropolitana due. Durante
l'attacco vennero sganciate 110 tonnellate di bombe esplosive e 166 tonnellate
di ordigni incendiari.
La
ricognizione inglese per la valutazione dei danni inflitti fu effettuata
quattro giorni dopo da un aereo De Havilland Mosquito. Secondo il rapporto e
interpretando le foto scattate dall'alto, risultarono danneggiate molte
fabbriche, quali l'Alfa Romeo,
la Caproni, la Isotta Fraschini, la Centeneri e Zinelli e la manifattura
tabacchi. Danni
poi allo scalo Farini, a porta Genova, al deposito tranviario di via Messina e
a quello degli autobus di corso Sempione. Inoltre,
35 aree civili danneggiate in corso Roma, presso il Duomo, all'Arena, in via
Mario Pagano, piazzale Loreto, alla stazione centrale nei pressi della
università Cattolica.
Secondo
i rilievi italiani dei giorni seguenti, danneggiati risultarono numerosi
cinema, la centrale del latte, diverse centrali Stipel, più 203 case distrutte
e 220 gravemente danneggiate, 376 con danni importanti, e più di 3000 quelle
con danni lievi. Gravi danni subì il Corriere della Sera in via Solferino.
Per
quanto riguarda il patrimonio culturale ed artistico, danneggiate risultarono
le chiese di: S.Maria del Carmine, S.Lorenzo, S.Giorgio al palazzo. Inoltre il
palazzo Reale, la Pinacoteca Ambrosiana, la Permanente, la Galleria d'arte
moderna, il Conservatorio.
Per
domare gli incendi dovettero intervenire anche i vigile del fuoco di Bologna,
oltre a quelli di tutte le province vicine. Alle otto del mattino seguente
riprese la circolazione dei tram e dei treni alla Stazione centrale.
Il
conteggio dei morti si attestò su 133, con 442 feriti. I senza tetto risultarono
7.950, ma pochi giorni dopo quelli regolarmente registrati presso gli uffici
comunali furono 10.000. La
città subì un ulteriore svuotamento da parte della popolazione, sia perché
rimasta senza una casa, sia per timore di ulteriori attacchi. Le
scuole furono chiuse a tempo indeterminato, sia per il pericolo di
bombardamenti, sia per mancanza di combustibile.
Nell'immagine seguente, una foto scattata il giorno successivo da un aereo di ricognizione inglese per valutare i danni arrecati.
Notte tra il 7 e l'8 agosto
Il
25 luglio
Mussolini fu arrestato e sostituito con
Badoglio dopo la storica seduta notturna del Gran
Consiglio del fascismo. Per
accelerare la resa dell'Italia da parte del nuovo capo del governo, venne programmato un ciclo di
bombardamenti ferocissimi su Milano, che, secondo le intenzioni, dovevano
distruggere la città entro un mese.
Il
primo di tali attacchi iniziò con l'allarme delle 0.52 dell'8 agosto, quando
aerei nemici erano stati segnalati in passaggio sulla frontiera svizzera. Le
bombe iniziarono a cadere alla 1.10. I
Lancaster della RAF sganciano soprattutto bombe incendiarie: presto enormi
cerchi di fuoco si propagarono a Porta Venezia, porta Garibaldi, in corso
Sempione, Magenta e Ticinese.
Il teatro Filodrammatici andò distrutto, così
come gran parte del Corriere della Sera. Risultò
inservibile l'ospedale Fatebenefratelli. Pesanti danni anche al museo di Storia naturale, al Castello, alla
Villa Reale, al palazzo Sormani. In
totale, si ebbero 600 edifici distrutti, sotto le cui macerie persero la vita
161 persone, più 281 feriti.
La
contraerea riuscì a colpire due Lancaster (che precipitarono uno in via Gustavo
Modena, l'altro, a pezzi, cadde sulla via Compagnoni e dintorni). L'oscuramento
della città fu imposto dalle 21.30 alle 5.30. I mezzi ATM riuscirono a
riprendere servizio solo in periferia, dato che la maggior parte delle vie più
centrali risultava impraticabile al passaggio veicolare, ostruita da macerie e
costellata di voragini.
Notte tra il 12 e il 13 agosto
Per
questa missione il Bomber Command inglese mobilitò tutti gli apparecchi
disponibili, e su Milano furono inviati addirittura 504 aerei:
321 Lancaster e
183 Halifax. Lo scopo
di tale spiegamento di forze era quello di creare sulla città il cosiddetto
vortice di fuoco (dai comandi inglesi tanto teorizzato quanto realizzato sulle
città tedesche), per annientarla totalmente. Per questo, tra le 2.000
tonnellate di bombe trasportate quella notte, vi erano 380.000 spezzoni
incendiari.
L'allarme
fu dato alle 0.35, con cielo senza nubi. Neppure dieci minuti dopo iniziò lo
sgancio delle bombe e degli spezzoni incendiari, il tutto per circa un'ora. La
contraerea nulla poté fare. Il centro
cittadino fu la zona più colpita, senza risparmiare però il quartiere Ticinese,
Garibaldi, Sempione. Gli
incendi divamparono ovunque, con effetti distruttivi su
palazzo Marino, la
Questura, il Commissariato Duomo, il
Castello, la chiesa di
San Fedele,
Santa
Maria delle Grazie (ma non il Cenacolo "ingessato" nei sacchi di
sabbia); il Duomo riportò gravi danni, così come la Galleria (volta distrutta e
facciata delle costruzioni "raschiate").
La
potenza delle fiamme era alimentata dal vento che si era alzato a causa dell'incendio stesso, che attirava
aria dalle campagne per autoalimentarsi (è l'effetto, enormemente ingrandito,
che si verifica quando si apre lo sportello di una stufa: le fiamme subito
riprendono vigore perché attirano nuovo ossigeno dall'esterno). La
scena all'alba dovette apparire apocalittica: quasi metà città era in preda
alle fiamme e l'aria totalmente irrespirabile, interi quartieri erano
pericolanti. Furono comunque ripristinate alcune linee automobilistiche per
favorire lo sfollamento degli ultimi cittadini rimasti, all'incirca 250.000
persone.
Nell'immagine seguente, una
foto scattata il giorno successivo da un
aereo di ricognizione inglese per valutare i danni arrecati allo stabilimento
Alfa Romeo.
Notte tra il 14 e il 15
agosto
Questa
volta 140 Lancaster scesero su Milano alle 0.32. In un'ora, sganciarono
facilmente le loro bombe, guidati dagli incendi del precedente attacco che
ancora ardevano non domanti. Furono
nuovamente centrati il Castello, il Palazzo Reale, il teatro dal Verme e il
teatro Verdi. Numerose industrie colpite pesantemente. I
pochi cittadino presenti diedero soccorso ai vigili del fuoco e agli uomini
UMPA per fermare la furia devastatrice delle fiamme, ma l'imprese fu rallentata
dalla mancanza d'acqua, causata dalla distruzione delle tubature
dell'acquedotto.
Notte tra il 15 e il 16 agosto
Il
terzo attacco del ciclo programmato fece suonare l'allarme alle 0.31. Non tutti
i 199 Lancaster decollati dall'Inghilterra questa volta raggiunsero Milano, in
una notte per loro poco fortunata. Maggior
sfortuna toccò comunque alla città: interi quartieri vennero bombardati.
Segnaliamo solo: Archivio di Stato (enormi perdite cartacee), il Duomo, la
Scala, che ebbe il tetto sfondato (e che sarà ricoperto con tettoie provvisorie
fino all'inizio del lavori di restauro), la Rinascente (totalmente distrutta,
poi demolita perché non recuperabile).
I
quotidiani uscirono la sera seguente, in edizioni limitate, anche a causa della
mancanza di carta per le rotative. La
città era in preda agli incendi e coperta di macerie, e il Bomber Command
decise di fermarsi, seppur insoddisfatto. Infatti la distruzione totale della
città apparve impresa impossibile, per due ragioni.
Innanzitutto
i materiali di costruzione degli edifici (pochissimo legno), e l'inversione
termica che tanto afose rende le giornate di agosto: il caldo estremo anche
notturno e l'umidità a livelli prossimi al 90% impedivano all'aria di
circolare, ragione per la quale le fiamme non riuscivano mai a propagarsi con
la facilità che si verificava sulle città tedesche. Inoltre, l'armistizio era
ormai vicino: inutile insistere.
Le
terribili incursioni del mese di agosto avevano colpito il 50% degli stabili,
di cui il 15% gravemente danneggiato. I senza tetto furono almeno 250.000, e
300.000 gli sfollati. Per
rimuovere le macerie si reclutarono con difficoltà 5.000 operai, oltre a 1.700
militari. La maggior parte degli sgomberi e delle messe in sicurezza fu
affidata alla manovalanza ormai esperta della ditta Romanoni (che dall'inizio
del conflitto aveva vinto l'appalto per tali incombenze).
Il
servizio di trasporto pubblico fu quello che ne uscì più disastrato (acqua, luce e gas erano infatti
ripresi entro le 48 ore). I tram e le filovie erano totalmente distrutti, così
come le rimesse, devastate dagli
incendi. Dalle vetture meno danneggiato
si recuperano i pezzi per rendere efficienti pochi tram, in una sorta di
cannibalismo meccanico. Inoltre, con la rete di alimentazione aerea danneggiata
(i palazzi crollando avevano travolto in centinaia di punti i fili della
corrente) anche i tram rimessi in servizio ebbero problemi di circolazione.
Inizialmente vennero dunque impiegate le piccole locomotive a vapore dei gamba
de legn (che vennero così tolte dai servizi extraurbani), le quali, con i
rimorchi di fortuna, poterono garantire almeno qualche linea, soprattutto per
collegare le stazioni ferroviarie.
Pietoso
fu lo spettacolo dei
monumenti milanesi: tra tutti, la mattinata del 16 agosto
venne dedicata ad un sopralluogo della
Scala, come detto centrata in pieno da
una bomba di grosse dimensioni. I palchi apparvero gravemente danneggiati, solo
il palcoscenico, ristrutturato notevolmente negli anni trenta, si era salvato
grazie al sipario metallico che aveva impedito al fuoco di propagarsi. Per
evitare che la pioggia e il gelo dell'inverno distruggessero del tutto quanto
scampato, nel mese di settembre venne studiata e messa in opera una copertura provvisoria
anulare, per proteggere i palchi e i fregi decorativi. La tettoia venne
realizzata con materiale di fortuna, prevalentemente legno e cartone catramato.
Solo a conflitto terminato sarebbe stato possibile portare a termine il
restauro e il ripristino del teatro.
Santa
Maria delle Grazie, eccettuato il Cenacolo, ne uscì parzialmente
mutilata. La
cupola bramantesca risultò alquanto danneggiata, così come il chiostro e la
fontana centrale, colpita in pieno da una bomba. Anche il chiostro piccolo venne
colpito, ma l'incendio propagatosi era stato coraggiosamente spento dall'opera
degli stessi frati.
Infine,
l'
Ospedale Maggiore, la storica Ca Granda, fu centrata da sei o sette bombe di
grosso calibro. Andò distrutto il cortile centrale, che perse i portici. Furono
colpiti anche i chiostri laterali. Dovranno passare decenni prima di poter
vedere restaurato l'antico complesso ospedaliero.
L'
8 settembre regalò all'Italia l'armistizio; il 24 novembre Mussolini diede vita
la Repubblica Sociale italiana.
Con
il sopraggiungere dell'inverno si dovettero abbattere centinaia di alberi (tra
quelli sopravvissuti agli incendi) per alimentare le stufe domestiche.
Anno 1944
Notte tra il 28 e il 29
marzo
Partiti
dalla Puglia, 78 Wellington arrivarono su Milano alle 22.40. L'attaccò si
concentrò sullo scalo di Lambrate. L'allarme era suonato tardi, dieci minuti
prima del lancio dei bengala su Rogoredo e Affori, tant'è che la contraerea,
anche se allertata, non colpì aerei nemici. I
danni al sistema ferroviario furono ingenti: circa 300 vagoni distrutti, e binari
devastati fino a Segrate. Furono
anche colpite numerose vie e piazze adiacenti gli scali attaccati, con un
bilancio di 18 morti e 45 feriti.
Mattina del 29 marzo
Alle
12.15 si presentarono sulla città, ancora nel caos per l'attacco notturno, poco
meno di 139 aerei (tanti erano partiti dalla Puglia, ma alcuni si erano dovuti
ritirare prima di sferrare l'attacco). L'allarme
fu dato col dovuto anticipo, alle 11.40, e le prime detonazioni si udirono su
Lambrate, vero obiettivo del bombardamento. Distrutte risultarono cinque cabine
di manovra, almeno 5 km di binari e impianti, tutta la linea di
elettrificazione aerea, 5 locomotive e circa 500 vagoni.
Anche
se l'attacco si era rivolto al materiale rotabile, ci furono almeno 30 morti
tra Rogoredo, via Corelli, via Tertulliano, e Ronchetto sul Naviglio. Anche
in questa occasione la contraerea nulla poté: anche se in mano alla Flak
tedesca, con l'ausilio della'AR.CO. (artiglieria contraerei), i risultati
furono deludenti come quando era gestita dalla Dicat.
Mattina del 30 aprile
L'allarme
suonò alle 11.38, a mezzogiorno iniziarono a cadere le prime bombe. I
bombardieri si divisero in due gruppi, con due target precisi: la Breda,
sezione costruzioni aeronautiche, e lo scalo Lambrate. La
Breda risultò semi distrutta, lo scalo vide ridotti in cenere 32 locomotive,
100 vagoni, l'officina rialzo (più 22 interruzioni di binario).
Notte tra il 5 e il 6 aprile
Alle
20.50 aerei inglesi del 205° Group sganciarono bombe su Lambrate. Non risultano
documentazioni ufficiali della missione, è ipotizzabile un errore di obiettivo.
Notte tra il 10 e l'11
luglio
Alle
23.45 vennero lanciati razzi illuminanti, data la forte foschia afosa presente
nell'aria, poi 86 Wellington inglesi si scatenarono di nuovo su Lambrate: la volontà strategica era quella di
annientare il principale scalo ferroviario di Milano, dal quale passavano le
merci per le industrie convertite dai tedeschi alla produzione di materiale
militare. Danni limitati.
Notte tra il 13 e il 14
luglio
Il
205° Group inglese inviò per distruggere Lambrate 89 aerei, e l'allarme suonò
alle 23.32. Per
la prima volta la contraerea riuscì a mettere in difficoltà i bombardieri, due
dei quali vennero colpiti. I danni allo scalo risultarono facilmente
rimediabili, proprio a causa della sfortuna che quella notte colpì gli Inglesi.
Fine Luglio e Agosto
In
questi mesi estivi gli attacchi dal cielo si concentrarono sulle strade, sui
mezzi di trasporto e sulle aziende del territorio intorno a Milano. Furono
bombardati i ponti sul Ticino a Boffalora e a Turbigo, il ponte sull'Oglio a
Palazzolo.
Il
24 agosto due Liberator del 34° Squadron sudafricano gettarono su Milano
volantini di propaganda.
Settembre
Nella
notte tra il 5 e il 6 settembre furono sganciate tra bombe, che colpirono uno
stabile in piazza Morbegno e la scuola di via Russo. Anche la Breda di Sesto
San Giovanni fu centrata da alcune bombe di calibro minore.
Nella
notte tra il 10 e l'11 settembre molti apparecchi sorvolarono Milano, colpendo
solo alcuni edifici privi di interesse strategico, probabilmente per un errore
di posizione.
Mattina del 20 ottobre
Alle
11.14 fu dato il piccolo allarme, seguito troppo presto dal grande
allarme,
alle 11.24. Le prime bombe iniziarono a colpire alle 11.29, cioè un
quarto
d'ora. La
popolazione non ebbe dunque il tempo di mettersi adeguatamente al
sicuro. Le
zone interessate furono quelle adiacenti lo scalo di Lambrate, con
tragiche
conseguenze sulla popolazione civile. Questo infatti fu il più
straziante dei bombardamenti, per la distruzione della scuola elementare
di Gorla.
Qui,
quando suonò il primo allarme, le maestre sollecitarono i bambini a
riporre
matite e quaderni nelle cartelle, e ad avviarsi nel rifugio sotterraneo.
Tuttavia, durante la discesa delle scolaresche lungo le scale, suonò il
secondo allarme, così inaspettato (visto che il primo era stato dato
solo dieci minuti prima) da essere interpretato da taluni come il
cessato allarme. Quando
sulle scale, in un momento di grande incertezza e voci contrastanti, si
trovarono ammassati all'incirca duecento bambini e il personale
scolastico,
cadde una bomba di (presumibilmente) 250 Kg, centrando in pieno la
tromba della
scale e il suo carico di piccole vite. Altre 170 bombe caddero sul
quartiere e
su Turro e Precotto, seminando stragi e lutti in intere famiglie. Alla
fine dell'incursione, tra i bambini della scuola e le vittime civile dei
quartieri colpiti, i morti furono circa 614.
Novembre
Il
mese autunnale vide numerosissimi attacchi aventi però come obiettivo località
attigue a Milano, quali Pero, Lodi, Codogno, prevalentemente per distruggere
fabbriche o fermare convogli ferroviari. Anche la città subì sporadici
bombardamenti, ma sempre bombe isolate, forse frutto di errori o di sganci di
emergenza.
Dicembre
Come
il mese precedente, continuarono attacchi su località del milanese, mentre la
città venne sostanzialmente risparmiata (scalo Lambrate, deposito locomotive
Greco, Breda, scalo Romana). Gli attacchi continui e sparpagliati degli ultimi
mesi del 1944 avevano indotto nella popolazione grande timore ogni qual volta
si dovesse organizzare uno spostamento con mezzi di trasporto (treni, tram
extraurbani, ma anche corriere, auto private, carretti e perfino biciclette
erano diventati gli obiettivi preferiti degli aeroplani).
Anno 1945
Milano
iniziò l'ultimo anno di guerra in condizioni disperate ma ancora organizzata:
si pensi alle numerose mense collettive predisposte dal Comune per supplire ai
bisogni della cittadinanza, spesso impossibilitata a procurarsi il cibo o
privata di una casa per cucinarlo. Se ne contavano in corso Indipendenza, in
via Cimarosa, in via Verdi, in piazza Diaz (in un capannone che sorgeva dove
ora c'è il giardino e il monumento ai Carabinieri), in piazzale Maciachini, in
viale Padova, in piazzale Accursio. Intanto,
tutte le città del Nord Italia risultavano ormai indifese, sotto i continui
bombardamenti e mitragliamenti da parte dell'aviazione anglo-americana.
Gennaio
Milano
subì numerosi piccoli attacchi, prevalentemente concentrati su scali ferroviari
o su convogli appena usciti dalle stazioni. Si
susseguivano incessantemente gli attacchi ai mezzi di trasporto, senza
distinguere purtroppo fra treni che portavano merci e materiale militare in
Germania (attraverso la Svizzera) e convogli carichi di operai e sfollati, come
quel Gamba de Legn colpito da un caccia nella tratta fra Inveruno e Cuggiono
(10 morti e 40 feriti).
Febbraio-Aprile
Ancora
piccoli attacchi, per un totale di 14, che causarono circa 28 morti e una
ottantina di feriti. Gli
ultimi furono registrati il 12 (mitragliamento a raso lungo la via Manzoni) e
il 13.
Il
25 aprile, appena fattosi buio, Mussolini abbandonò Milano diretto a Como.
Dopo i giorni della Liberazione per le strade cittadine, il
30 aprile entrarono in città le truppe anglo americane della Quinta Armata: la
guerra era finita.
Conclusioni
I
sessanta attacchi aerei sulla città di Milano causarono tra i 1200 e i 2000
morti.
Approssimativamente, la città perse un terzo delle proprie
costruzioni, distrutte direttamente dalle incursioni, dagli incendi da queste
causati o per le demolizioni successive resesi necessarie o giudicate più
economiche dei restauri.
Degli
80.000 alberi cittadini presenti nel 1942, al termine della guerra se ne
censirono solo 30.000, non solo a causa di incendi e attacchi, ma anche in seguito a ingenti e incontrollabili abbattimenti nottetempo compiuti da parte della popolazione infreddolita.
Per
diversi anni i senzatetto dovettero abitare nelle
case-minime (villaggi) allestite dal Comune, edificate ai limiti della città, come quelle
in viale
Argonne, a metà della via
Lorenteggio, a
San Siro (dove con le macerie nacque il
Monte Stella, durante la costruzione dello sperimentale QT8).
L'11
maggio 1946, alle ore 21, si inaugurò la rinata Scala, con il concerto diretto
da Arturo Toscanini e musiche di
Rossini, Verdi, Puccini, Boito.
Il primo gradino di una lenta normalità da
ritrovare.
Bibliografia
Rastelli
A.,
Bombe sulla città, gli attacchi alleati: le vittime civili a Milano,
2000;
AA.VV.,
Milano in guerra, 1979;
AA.VV.,
Milano nella resistenza, bibliografia e cronologia marzo 1943/maggio
1945, 1975;
Ganapini
L.,
Milano nella seconda guerra mondiale, in Milano Moderna, 1992;
Ogliari
F.,
Milano anno zero, 1999;
Ogliari F.,
Il Teatro alla Scala, 2001.
mauro colombo
estate 2003
ultima modifica: maggio 2016
maurocolombomilano@virgilio.it