venerdì 27 maggio 2016

L'ipposidra, la ferrovia per le barche



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Fin dai primi anni di costruzione del Duomo, i pregiati marmi di Candoglia, estratti dalle famose cave poste all'imbocco della Val d'Ossola, giungevano a Milano grazie a barche dal fondo piatto, che dopo aver navigato lungo il Lago Maggiore, ne uscivano per il Ticino, fino a raggiungere l'incile del Naviglio Grande, a Tornavento. Lungo il placido Naviglio le barche arrivavano a Milano, attestandosi anticamente nel porto della Darsena, verso Sant'Eustorgio, più recentemente spingendosi fino al laghetto di Santo Stefano, proprio a due passi dall'erigenda Cattedrale.

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Il trasporto lacustre e fluviale così articolato era utilizzato anche per tante altre risorse che l'alto Verbano, il Ticino, e l'Ossola fornivano alla nostra città: sabbia, ghiaia, legname, granito e marmi, ma anche frutta, formaggi e carni.
alzaia naviglio ipposidra barconiNumerosissime imbarcazioni percorrevano quotidianamente questa strada d'acqua, agevole verso Milano (forza motrice era la corrente), ma lunga e laboriosa nel ritorno verso il lago.
Per questa faticosa retromarcia erano utilizzati numerosi cavalli da tiro, che trainavano convogli di cinque/sette barche, percorrendo le alzaie, cioè le strade che costeggiavano Naviglio e Ticino, e che permettevano, appunto, di "alzare", cioè tirare le barche vincendo la corrente contraria.



Il percorso controcorrente era reso ancora più faticoso e drammatico nella tratta compresa fra Tornavento e Sesto Calende, a causa di rapide e anse del Ticino.
ipposidra ticino naviglio duomo barconi marmoSi pensi che le barche, cariche di materiali, impiegavano circa nove ore da Sesto Calende a Milano (e nel tratto fra Sesto e Tornavento, circa un'ora e mezza grazie alla forte corrente, che però doveva essere affrontata con grande maestria e non pochi rischi da timonieri esperti del tratto).
Il ritorno, fino a Tornavento, era coperto inizialmente in quindici giorni, sfruttando venticinque cavalli che tiravano un convoglio di cinque barche. Con la costruzione della strada di alzaia lungo il Naviglio (realizzata nel secondo quarto dell'ottocento) i tempi si ridussero a soli tre giorni. Ma rimaneva lo scoglio del tratto da Tornavento a Sesto Calende: per 25 chilometri erano necessarie da una a due settimane!

Fu Carlo Cattaneo (1801-1869) a trovare per primo una valida soluzione per quel breve ma difficoltoso tratto fluviale. 
cattaneo ipposidra naviglio barconiCoadiuvato da Frattini e Besozzi,  progettò 17 chilometri di ferrovia ippotrainata, i cui binari sarebbero partiti da Tornavento per giungere fino a Sesto Calende: le barche che risalivano la corrente sarebbero state tolte dall'acqua e caricate su appositi vagoni ferroviari, che robusti cavalli avrebbero trainato. Finito il percorso ferrato le barche, scaricate, avrebbero potuto essere rimesse in acqua, per riprendere la navigazione.
La ferrovia sarebbe tornata utile anche per la discesa verso Milano, potendo le imbarcazioni evitare le rapide, lungo le quali spesso avvenivano perdite di carico se non veri e propri affondamenti.
Cattaneo ebbe un'idea geniale per l'epoca, fu il precursore del trasporto combinato. Nel tratto fluviale troppo difficile, le barche avrebbero viaggiato sui grossi carri, come accade oggi per moltissimi camion che valicano le Alpi caricati su vagoni a pianale ribassato.
Per realizzare l'ambizioso progetto, Cattaneo lanciò una sottoscrizione pubblica per raccogliere il necessario capitale alla Società Anonima Strada ferrata Tornavento-Sesto Calende.
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Il periodo storico era alquanto ingarbugliato, con gli Austriaci padroni del Lombardo-Veneto. Tra tentativi e fallimenti, solo nel 1852 la Società acquistò i primi terreni sui  quali posare le rotaie della futura linea.
Finalmente, il 12 aprile 1856, le azioni societarie risultarono integralmente sottoscritte, e i lavori furono appaltati  ai fratelli Gianoli e Nipote.
Due anni dopo iniziarono le sperimentazioni, per risolvere principalmente due difficoltà: il carico e lo scarico dei pesanti barconi sui carri ferroviari, mediante bacini dotati di ascensori a contrappesi, e il dislivello notevole in località Groppetti, per vincere il quale venne creato un lungo piano inclinato a doppio binario. Alla sommità del piano c’era una carrucola con un cavo d’acciaio, che veniva attaccato al carro a monte (che scendeva) ed al carro a valle (che saliva). In questo modo, sfruttando il carico maggiore del carro in discesa dovuto alla barca carica che trasportava, si otteneva il duplice scopo di issare il carro a valle con barca in salita più leggera perchè vuota e frenare la discesa di quello a monte.

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Dopo le necessarie autorizzazioni governative, la ferrovia a cavalli entrò in funzione il 13 ottobre 1858.
In servizio furono immessi ventotto carri a otto ruote e sei carri a quattro, oltre ad un centinaio di cavalli. Per far funzionare l'impresa, vennero assunti un'ottantina di garzoni. I costi si rivelarono quindi subito molto alti.
Tant'è che pur essendo l'ipposidra del Cattaneo un progetto tecnicamente all'avanguardia e unico in Europa, ben presto gli introiti si rivelarono inferiori alle aspettative, a causa dello scarso numero di barche trasportate e al tempo necessario per trarle fuori dall'acqua.

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Come se non bastasse, la guerra d'indipendenza del 1859 interruppe la navigazione sul lago Maggiore.
Tra il 1860 e il 1862 la ferrovia ippotrainata continuò stoicamente la sua attività in perdita (nonostante l'introduzione di alcune migliorie come il freno Toselli per i carri in discesa), trasportando mediamente otto barche al giorno, la metà del numero necessario per coprire i costi di cavalli, carri e personale.
Il colpo di grazia le venne però dato dal prolungamento delle ferrovie a vapore Milano Gallarate Varese con tronco di derivazione a Sesto Calende. Inoltre, entrò in servizio la Novara Arona.
Contro il treno a vapore, capace di trasportare le merci da Sesto a Milano in sole due ore, nulla potè l'ipposidra, che nel 1865 si dovette definitivamente arrendere al progresso.
I carri rotabili furono ceduti alle ferrovie, mentre i binari vennero mano a mano smantellati e rivenduti.
Cosa resta oggi di un progetto così complicato ma all'epoca innovativo? Poco a dire il vero, visto che alla sparizione delle varie tracce archeologiche hanno contribuito l'apertura prima del canale Villoresi, poi dell'aeroporto della Malpensa.
Tuttavia, nei boschi e nella brughiera qualcosa ancora affiora: alcuni terrapieni, un ponte in muratura, le spalle di un paio di ponti crollati, la stazione dei cavalli presso lo Strona, parte della darsena a sesto Calende, qualche paracarro e cippi con inciso S.F.
Poche cose, insomma, ma a volte bisogna accontentarsi.
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Bibliografia:
Ogliari F., Dal lago Maggiore a Milano, 2002
Brianzoni R., La ferrovia delle barche da Tornavento a Sesto Calende

Mauro Colombo
maggio 2016
maurocolombo@milanoneisecoli.it
maurocolombomilano@virgilio.it






giovedì 19 maggio 2016

Monte Stella al QT8, la montagnetta di San Siro


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Milano ha una strana collina, che per una velata mania di grandezza tipicamente nostrana, è da sempre chiamata Montagnetta di San Siro (per via della zona ove si eleva).
bottoni QT8 montagnetta san siro stellaIl suo vero nome è Monte Stella, come la moglie del geniale architetto che la ideò, Piero Bottoni (1903-1973).
Sì, perché la Montagnetta è un rilievo artificiale, formato da milioni e milioni di metri cubi di detriti bellici. E di qualche altra demolizione cittadina. Insomma, per essere un po' macabri, si può dire dire che è il cimitero degli edifici abbattuti dalle bombe anglo-americane  sganciate sulla città durante la seconda guerra.
Correva l'anno 1947, quando a Milano si svolse l'Ottava Triennale, incentrata sul tema dell'abitare: per tale evento, Bottoni, commissario straordinario della Triennale milanese, promosse e progettò il piano generale per un innovativo quartiere, appunto battezzato QT8.
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Il QT8 non voleva essere "solo una esposizione permanente di nuovi tipi edilizi, di sistemi costruttivi e arredi innovativi, di risultati economici e di programmi igienici, ma anche e soprattutto un esempio sperimentale di una nuova spazialità urbana. Il nuovo quartiere doveva mostrare che, abbandonando lo schema urbanistico-architettonico tradizionale a pareti continue in fregio alle strade e alle piazze, e ordinando invece gli edifici in relazione alla luce e agli spazi verdi, era possibile dare vita ancora a un quadro ambientale unitario di qualità, pur in presenza di tipi edilizi diversi tra loro e dalla tradizione.
Bottoni aveva preventivato che la attuazione del Quartiere avrebbe richiesto 10-15 anni; oggi tuttavia esso risulta largamente incompiuto per la parte dei servizi al cittadino" (G. Tonon).
Il Quartiere avrebbe anche contribuito, almeno nella sua primissima fase, a dare una casa a quanti milanesi l'avevano da poco perduta sotto bombe, dirompenti e spezzoni incendiari.
Parteciparono all'ambizioso progetto valenti architetti del periodo, tra i quali Peressutti, Zanuso, Belgioioso, Banfi, Rogers.
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Per completare il tutto, Bottoni pensò ad una montagnola artificiale, proprio dove, in una cava di sabbia ormai esaurita, si stavano accumulando i detriti cittadini, che avevano riempito del tutto il precedente specchio d'acqua.
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montagnetta san siro monte stella guerra macerieSappiamo infatti che i primissimi anni del dopoguerra videro rimuovere dalla città una massa impressionante di macerie, che venivano accumulate in varie zone cittadine e poi portate fuori città.

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montagnetta san siro stella macerie guerra treniniPer tali lavori di sgombero venivano anche utilizzati appositi trenini a scartamento ridotto, che portavano in città la sabbia necessaria per le nuove costruzioni, prelevata dalle varie cave periferiche. Al ritorno, trasportavano e scaricavano i detriti.
All'immane lavoro parteciparono numerose ditte, che sfruttavano in gran parte i camion militari americani (Dodge, Ford, GMC) qui abbandonati e rimessi in circolazione dopo essere passati dai campi di raccolta e rivendita dell'ARAR.


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Partecipavano inoltre tutti quelli che dovevano arrangiarsi e inventarsi un lavoro, grazie ai carretti a cavallo o ai veicoli residuati USA rimessi in condizioni di marciare (spesso modificandoli nei motori esageratamente assetati di carburante, e costruendo artigianalmente i pezzi di ricambio altrimenti introvabili). Questi operai, pagati un tanto a quintale scaricato e spinti dalla povertà e dalla voglia di rivincita, erano detti "stravachin".
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La realizzazione della collina si protrasse ben oltre l'Ottava Triennale. Se il primo basamento è infatti costituito dai detriti cittadini, l'accumulo di terra continuò in zona per circa vent'anni dopo il 1947. 
Il Monte avrebbe dovuto toccare, nel secondo progetto del 1954, i cento metri di quota, anche se poi, in fase di realizzazione, ci si accontentò di un po' meno.
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montagnetta san siro monte stella QT8 bottoniNegli anni Sessanta divenne anche un punto di aggregazione per tutti i giovani motociclisti amanti del fuoristrada (o come si diceva, Regolarità). Qui infatti, prima che gli spazi venissero trasformati in parco ovviamente chiuso al traffico motorizzato, si inventavano gare con moto più o meno potenti, più o meno adatte, e tutti gli appassionati del genere ne avevano fatto il punto di ritrovo del sabato e della domenica.
Era anche nato un Moto Club, il MCMontagnetta. Una delle più importanti riviste del settore, Motociclismo, dedicò al fenomeno una copertina, e pubblicò un articolo quando le cose cambiarono per sempre.
Più recentemente ospitò gare sciistiche (nel 1984, con innevamento artificiale), e nel decennio scorso venne realizzato, in una piccola porzione, il Giardino dei Giusti, per onorare coloro che si sono opposti ai crimini contro l'umanità e ai totalitarismi.
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Mauro Colombo
maggio 2016
maurocolombomilano@virgilio.it
maurocolombo@milanoneisecoli.it




sabato 7 maggio 2016

Il coperto dei Figini (quando rallegrava piazza Duomo)

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duomo scala figini Quando nel 1858 venne aperta piazza della Scala, demolendo i caseggiati che si trovavano fra il teatro e palazzo Marino,  si pensò di collegarla degnamente a piazza del Duomo, mediante una strada che sarebbe nata abbattendo l'isolato che separava i due monumenti oggi simbolo della città.
Dopo numerosi elaborati e concorsi caduti nel vuoto, finalizzati anche a dare un nuovo assetto a piazza Duomo, finalmente il Consiglio comunale approvò (era il 15 settembre 1863) il progetto del giovane Mengoni, che prevedeva la piazza rettangolare con i palazzi porticati e la galleria (o strada coperta), come tutti oggi sappiamo.
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Per permettere tale riqualificazione, tuttavia, Milano perse una piccola testimonianza dello spirito commerciale cittadino. Si dovette infatti abbattere una costruzione porticata del quattrocento, comunemente chiamata "Coperto - o Portico - dei Figini".
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Nel 1468 Pietro Figino aveva commissionato la costruzione di un edificio a pianta rettangolare,  costituito da una fila di locali fronteggiati da un portico sopra i quali vennero innalzati due piani decorati con eleganti finestre in cotto.
Pietro discendeva da nobile famiglia originaria di Figino (anticamente Fegium), che trasferitasi a Milano nel Trecento, esercitò il capitananto in Porta Nuova. La volontà di erigere l'edificio in piazza Duomo nacque in occasione delle nozze tra Galeazzo Maria Sforza e Bona di Savoia, come ricorda il bel volume  "Antiquario della diocesi di Milano dell'arciprete oblato Francesco Bombognini" edito nel 1828.

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Il progetto è attribuita a Guiniforte Solari, ingegnere della Fabbrica del Duomo, che si sarebbe ispirato al vicino Coperto delle Bollette. Con la conclusione del portico verso il Duomo intorno al 1480 la piazza iniziò a prendere quella forma regolare che ci viene descritta, con qualche licenza, da Cristoforo de Predis nella sua famosa miniatura del 1476.
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Sotto i portici (o Coperto) si aprivano numerossisime botteghe. Da una Guida di Milano del 1841 (edita dal Bernardoni), apprendiamo che qui vendevano i loro prodotti numerosi chincaglieri, cioè artigiani di chincaglierie per la casa e per la persona, e precisamente Cesare Radice, Michelangelo Fasola, Antonio Bardelli, Giovanni Manini, Pietro Barone; avevano bottega inoltre la modista Adelaide Ribulla, tal Ambrogio Binda, specializzato in passamanerie e bottoni in stoffa, poi Isidoro Curioni, telerie e tovaglie, Giovanni Ballerio, dentista e chirurgo; si trovava poi la caffetteria di Gaetano Mazza, e infine Luigi Zuccoli, venditore di dipinti antichi, stampe, ed oggetti d'arte.

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milano duomo coperto figiniDopo quattro secoli durante i quali le varie botteghe si alternarono allietando la vita commerciale della zona, il Coperto venne demolito nel 1864, un anno prima che Vittorio Emanuele posasse la prima pietra della Galleria (7 marzo 1865).
Nei due/tre anni precedenti, il Comune aveva provveduto, mano a mano, a deliberare l'acquisto delle varie botteghe in mano ai privati, in modo da diventarne proprietario e poter procedere agli abbattimenti
Ricordiamo che anche il famoso Gaspare Campari aveva qui il suo localino, prima di trasferirsi - fu il primo negoziante! - in Galleria, appena questa fu inaugurata nel 1867.
I lavori per la nuova piazza non potevano fermarsi neppure davanti alla storica presenza!
Nel decennio successivo continuarono i lavori per la costruzione dei palazzi porticati (portici meridionali e settentrionali), che portarono ad un'altra demolizione, quella del quartiere (o isolato) del Rebecchino
A lavori conclusi nel 1896 venne posizionato il monumento equestre a Vittorio Emanuele II, di Ercole Rosa.
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Bibliografia
Gioeni, L. L’Affaire Mengoni. Piazza Duomo e la Galleria Vittorio Emanuele. I concorsi, la realizzazione, i restauri, 1995

Giulini, G. La Piazza del Duomo di Milano, 1927




Mauro Colombo

maggio 2016

maurocolombomilano@virgilio.it