giovedì 15 dicembre 2016

Lo scomparso mortaio austroungarico del Castello



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Questo articolo inizia come le favole.......c'era una volta. Che cosa? Un vecchio mortaio dietro al Castello sforzesco!
skoda 30.5 castello mortaio cannone obicecastello sforzesco cannone mortaio skoda 30.5Tutto ebbe inizio negli anni venti, quando un pezzo di artiglieria pesante, in dotazione, durante la prima guerra mondiale, all'esercito austroungarico, venne posizionato sul piazzale retrostante il Castello sforzesco, verso il parco Sempione.
Una preda bellica in bella mostra, precisamente uno Skoda 30,5 cm Mörser. Un possente mortaio da assedio, che durante la Grande Guerra sparava proiettili fino a dieci chilometri di distanza. Secondo la nomenclatura italiana, un pezzo da 305 mm/8.
Questa presenza, che non passava certo inosservata, è testimoniata da moltissime foto a partire dagli anni venti, nonchè da innumerevoli racconti e ricordi di chi, da bambino, ci giocava attorno con gli amichetti, fantasticando improbabili battaglie.
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La possente bocca da fuoco diede il nome allo spiazzo che la ospitava, appunto "Piazza del cannone"  (anche se tecnicamente non era un cannone). Il luogo divenne  un ritrovo anche per gli adulti, magari in vena di ricordi delle terribili giornate passate in trincea, come quelle sull'altipiano di Asiago, dove proprio uno di questi bestioni aveva messo fuori uso almeno un paio di forti italiani (tragico il bilancio al forte Verena).

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castello sforzesco cannone mortaio skoda 30.5Una delle caratteristiche più interessanti del mortaio Skoda era la sua mobilità. Oltre al pezzo vero e proprio, era stato sviluppato anche un convoglio meccanizzato per il trasporto, dotato di una trattrice Austro-Daimler. Progettato dall’ingegnere Porsche, il treno meccanizzato consentiva di spostare in breve tempo il pesante carico bellico, che  poteva essere così collocato in batteria anche dove non arrivava la ferrovia (e difatti trovò largo impiego in montagna).
Di certo, l'ingombrante residuato rimase esposto almeno fino agli anni Sessanta. Poi venne rimosso, forse per effettuare un restauro, o forse perché non più ritenuto un "corretto" arredo urbano.
Da quel momento, si sono perse le sue tracce. Probabilmente accantonato in qualche caserma milanese, potrebbe essere stato successivamente demolito.
Al Museo storico della Guerra di Rovereto (TN) è esposto l'unico esemplare italiano dei quattro pezzi ancora superstiti.
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Mauro Colombo
dicembre 2016
maurocolombomilano@virgilio.it









venerdì 2 dicembre 2016

Le foto a colori della Centrale durante la guerra


stazione centrale milano guerra walter hollnagelAnche se la fotografia a colori era da tempo stata inventata, l'era della fotografia a colori "moderna" iniziò solamente nel 1935, con la pellicola per diapositive Kodachrome, seguita dalla Agfacolor.
Per tale ragione siamo abituati a vedere le immagini di Milano durante la seconda guerra mondiale in bianco e nero.
Naturalmente qualche eccezione esiste.
Ad esempio, queste due fotografie a colori scattate all'interno della nostra Stazione centrale nell'agosto del 1944, in piena occupazione nazista. Si tratta quindi di una testimonianza inusuale.

stazione centrale guerra walter hollnagel

Sono opera del tedesco Walter Otto Hollnagel (1895-1983). Entrato da giovane nel dipartimento delle ferrovie tedesche (Reichsbahn) in qualità di disegnatore tecnico, divenne presto ispettore, facendo una discreta carriera. Da sempre appassionato di fotografia, durante il conflitto mondiale venne distaccato come fotoreporter al Ministero dei Trasporti, con l'incarico di documentare il servizio ferroviario tedesco negli Stati occupati militarmente dalle forze naziste.
Il suo compito era di propagandare il servizio ferroviario, mettere quindi sempre in una luce positiva il Reichsbahn.
Lasciò inoltre toccanti immagini della stazione di Verona devastata dai bombardamenti angloamericani, e di altre stazioni italiane colpite dagli attacchi aerei.

Mauro Colombo
dicembre 2016
maurocolombomilano@virgilio.it
 
Per i bombardamenti su Milano durante la seconda guerra, clicca qui.

sabato 19 novembre 2016

1896: il cinema arriva a Milano



cinema milano lumiere

cinema milano lumiereI fratelli Auguste e Louis Lumière, dopo aver lavorato per anni accanto al padre, rinomato produttore fotografico, iniziarono ad interessarsi alla pellicola cinematografica dal 1892. Ben presto, superati i noti problemi tecnici fino ad allora riscontrati dai pionieri della materia, brevettarono il "cinematographe" il 13 febbraio 1895. Pochi mesi dopo realizzarono il loro primo film: "La sortie des usines Lumiere". Pochi secondi, ma entrati nella storia.
La prima proiezione in pubblico avvenne il 28 dicembre dello stesso anno, al Gran Cafè (nel sotterraneo chiamato salon indien), in Boulevard des Capucines, naturalmente a Parigi. Ingresso un franco, 33 spettatori, nessun giornalista benchè invitati. Un mezzo flop, si pensò subito. Tuttavia, il passaparola fece sì che, nell'arco di pochi giorni, già si formassero file di duemila persone pronte ad assistere al prodigio.

In Italia, un ampio resoconto della novità transalpina lo diede il Bollettino mensile del circolo fotografico lombardo.  Un'esaustiva spiegazione scientifica, corredata da illustrazioni, aveva incuriosito molto i lettori circa le meraviglie promesse da questo nuovissimo apparecchio. Si faceva notare come tutti i difetti dei precedenti esperimenti in materia (la fotografia in movimento, il fucile fotografico di Janssen, il Kinetografo-Kinetoscopio di Edison) fossero stati finalmente superati. Ora era possibile ammirare su un grande schermo scene in movimento, come una via animata, l'uscita degli operai dalla fabbrica, e altre brevi riprese, quelle all'epoca nel catalogo dei film dei fratelli Lumiere.

principe umberto cinema lumiere milanoA Milano, il sistema cinematografico Lumiere fu presentato per la prima volta presso i locali del Circolo Fotografico, in via Principe Umberto 30 (oggi via Turati).
Era il 29 marzo 1896. Un numero limitato e selezionato di milanesi potè così assistere alla proiezione delle brevi scene in movimento.

Il giorno seguente, 30 marzo, la nuova forma di intrattenimento fu presentata ad un vero pubblico, quello del Teatro Milanese, in corso Vittorio Emanuele 15 (dove poi sorgerà il famoso Hotel Splendid al Corso, con la sotterranea sala Trianon).
Il Corriere riporta, nel trafiletto dedicato agli spettacoli teatrali, la programmazione del Milanese, segnalandola come "La fotografia animata".

Lo stesso teatro continuò a proiettare per tre mesi e mezzo circa, e dopo una pausa estiva,  ricominciò dal 3 settembre.
Durante l'estate, tuttavia, l'invenzione del secolo poteva essere ammirata in altri due teatri: il Gerolamo di piazza Beccaria, e il Filodrammatici di piazza Ferrari.

pacchioni cinema milano lumiereIn questo stesso anno, Italo Pacchioni (che con il fratello aveva aperto in città uno studio fotografico) riuscì a costruire (dopo una proficua gita a Parigi) un apparecchio di ripresa e riproduzione simile a quello dei Lumiere, ma con interessanti modifiche, con il quale riuscì ad attirare un discreto pubblico, presso il suo locale alla fiera di Porta Genova.  
pacchioni milano film cinema lumiereEgli iniziò a girare propri film, che mostravano scene di vita quotidiana milanese, soffermandosi su scorci caratteristici (il Castello Sforzesco, nel "Finto storpio" - 1896) o attraverso cerimonie e avvenimenti, come i funerali di Giuseppe Verdi (1901).
Non solo queste opere entrarono nella storia come le prime produzioni cinematografiche realizzate nel nostro Paese, ma sono oggi testimonianze uniche di come appariva la città di Milano a fine ‘800.

dal verme cinema film milano lumiere Dal 1897 in avanti, la "settima arte" (che ormai poteva contare numerosi produttori di film) si diffuse in altri teatri e sale d'intrattenimento milanesi, quali il Dal Verme, l'Eden, l'Alhambra presso l'arco del Sempione.

alhambra cinema lumiere sempione

Nel 1899, il 4 ottobre, una proiezione con apparecchio American Biograph  si svolse presso un locale di Palazzo Soncino (Via Torino angolo con omonima via). Qui nascerà poi, nel 1910, la Sala Marconi, che regalava al pubblico pagante proiezioni continue fin dal mattino.
apollo centrale cinema duomo Secondo gli storici, la prima vera sala cinematografica aperta a Milano è la Sala Edison di via Cantù, che tal Ercole Pettini inaugura nel 1904.
E se nel 1907 la Rivista Fono-cinematografica scriveva che la nostra città contava solo una dozzina di sale, a causa delle proteste di vicini, dei padroni, della vigilanza (mentre a Parigi erano già 120, e Roma 52), dal 1909 iniziarono finalmente a vedere la luce numerose sale cinematografiche, quali il Garibaldi, il Centrale in piazza Duomo, sotto i portici settentrionali, il contiguo Apollo, il Brera in via Solferino, il Napo Torriani in via Torriani angolo via Tenca, alle quali nel 1911 si aggiunse il Palace di Corso Vittorio Emanuele.

cinema palace milano lumiere film



Il nuovo genere d'intrattenimento aveva ormai preso piede: da allora, a Milano apriranno decine e decine di sale (ben 66 nel 1930, anno in cui, peraltro, arrivò il sonoro).
Fu però nel secondo dopoguerra che Milano fu letteralmente invasa da sale cinematografiche, basti pensare che nel 1970 se ne contavano (tra prime, seconde e terze visioni) ben 120.

Per vedere il film di Pacchioni girato all'interno del Castello sforzesco nel 1896, clicca
qui




BIBLIOGRAFIA
AA.VV., Il cinematografo, invenzione del secolo, 1994
De Berti R., Un secolo di cinema a Milano, 1996
Sito web: giusepperausa.it


Mauro Colombo
maurocolombomilano@virgilio.it
novembre 2016


venerdì 28 ottobre 2016

La Milano settecentesca del Bellotto



bernardo bellotto milano castello eufemia giureconsultiBernardo Bellotto nacque a Venezia nel 1721, nipote del famosissimo vedutista Antonio Canal "il Canaletto".
Iscrittosi diciassettenne alla corporazione dei pittori veneziani, ebbe la fortuna di poter imparare il mestiere dal celebre zio.
Nel 1744 Bellotto effettuò un viaggio in Lombardia, all'epoca sotto il dominio austriaco, molto probabilmente chiamato dal conte Antonio Simonetta (ultimo discendente della casata, proprietario della famosa villa omonima) e da sua moglie Teresa Castelbarco, il cui salotto era uno dei più frequentati di Milano. 
Per loro dipinse due vedute agresti, "Vaprio e Canonica verso nord-est" e il controcampo "Vaprio e Canonica verso sud", raffiguranti l'ameno sito lungo il fiume Adda in cui si trovava la vasta tenuta agricola del Monasterolo, di proprietà appunto dei Simonetta.
Durante questo fortunato soggiorno, Bellotto dipinse anche tre vedute di Milano.
Una su committenza del cardinale Giuseppe Pozzobonelli, all'epoca arcivescovo di Milano, e precisamente "Le chiese di Sant'Eufemia e di San Paolo Converso". 
Di committenza invece incerta sono gli altri due dipinti: "Il Castello" e "Il palazzo dei Giureconsulti e il Broletto Nuovo".

Le chiese di Sant'Eufemia e di San Paolo Converso

 

bellotto milano eufemia paoloImmerse in una atmosfera alquanto campagnola, pur trovandoci all'interno della cerchia del naviglio, lungo corso San Celso (oggi corso Italia), le due chiese appaiono nella loro veste primitiva. In particolar modo, sant'Eufemia ha la facciata precedente le modifiche "creative" del Terzaghi effettuate nel 1870. 
San Paolo risulta simile ad oggi, eccezion fatta per la mancanza degli angeli in facciata che nel dipinto svettano sullo sfondo del bel cielo azzurro.




Il Castello

 

bellotto castello sforzesco milanoAll'epoca utilizzato dagli austriaci quale caserma per il contingente di stanza a Milano, appare molto diverso da come lo vediamo oggi, dopo i profondi rifacimenti e restauri tardo ottocenteschi del Beltrami.
In particolar modo, le due torri (di Santo Spirito e del Carmine) appaiono "cimate", quindi più basse di oggi e di come erano durante l'epoca dei Visconti e degli Sforza
L'abbassamento delle torri era stata una scelta militare, finalizzata anche al posizionamento di bocche da fuoco. Manca naturalmente la torre del Filarete, crollata in seguito allo scoppio della polveriera nel cinquecento, anche questa poi ricostruita dal Beltrami nei primi anni del novecento.
Attorno al castello si nota la cortina muraria che verrà poi abbattuta in periodo napoleonico.



Il palazzo dei Giureconsulti e il Broletto nuovo

 

bellotto giureconsulti broletto nuovo ragione milano 
Il dipinto mostra i due importanti edifici civili milanesi, oggi affacciati su via Mercanti, all'epoca facenti parte della vasta piazza Mercanti, ancora chiusa e con i sei accessi corrispondenti ai sei sestieri cittadini. Nel dipinto si nota infatti, sullo sfondo, il caratteristico passaggio coperto che conduceva alla piazza del Duomo, del quale vediamo la  facciata ancora in costruzione.
Il Broletto nuovo, o palazzo della Ragione, era all'epoca ancora privo del caratteristico sopralzo che vediamo oggi, con le finestre tonde, voluto da Maria Teresa d'Austria nel 1773.
Il palazzo dei Giureconsulti (o dei Nobili Dottori) venne realizzato dal Seregni su committenza di papa Pio IV, il papa milanese.
Nella zona d'ombra, si nota il pozzo, che oggi si trova nella piazza Mercanti, dopo lo spostamento per motivi viabilistici avvenuto in epoca recente.
bellotto palazzo giureconsulti




Mauro Colombo
ottobre 2016
maurocolombomilano@virgilio.it





















giovedì 13 ottobre 2016

Miracolo a Milano (la città di De Sica)


Miracolo a Milano De Sica Zavattini

Milano è stata scelta molto spesso quale "location" per lungometraggi (più di 500!), anche se a volte si tende a dimenticare questo aspetto.
Nel 1932, la pellicola "Gli Uomini che mascalzoni" fu il primo film italiano girato in esterni anzichè in teatri di posa. E il set furono vie e piazze cittadine.
Da allora Milano divenne la scenografia ideale per film di ogni genere, cosicchè soprattutto le pellicole degli anni cinquanta, sessanta e settanta ci  regalano oggi un importante documento di come fosse la città.
Uno dei film più datati e con interessanti scorci ormai spariti è "Miracolo a Milano". Distribuito nelle sale nel 1951, ci restituisce immagini di una città che stava cambiando pelle e architettura, ancora deturpata dalle cicatrici della guerra da pochi anni terminata e afflitta da una crisi economica che rendeva davvero dura la vita di tantissime persone. 
E con grandi contraddizioni: la mancanza di case e le baracche da un lato, i nuovi edifici moderni e i grattacieli in costruzione dall'altro, la povertà di chi non riusciva a riprendersi e la ricchezza che avanzava insieme al progresso.
Film realista ma al contempo fantastico, dove il ricorso all'allegoria è giustificato dal periodo storico in cui venne girato (il potere democristiano era ormai ben consolidato) è il frutto della collaborazione tra De Sica e Cesare Zavattini (al cui sodalizio si devono alcuni tra i principali capolavori del neorealismo cinematografico).
Miracolo a Milano De Sica Gioia
De Sica sul set, via Gioia con la Martesana
In questo caso, il soggetto di Zavattini nasce quale abbozzo durante la guerra, e viene poi pubblicato da Bompiani nel 1943 con il titolo "Totò il buono".
De Sica iniziò le riprese del film durante il freddo e nevoso febbraio del 1950, e Milano diventò così per alcuni mesi il set ideale per le avventure che i personaggi sono chiamati a sopportare.
Il lungometraggio è girato in varie zone, alcune periferiche, altre centrali.
Così, il carro funebre seguito dal piccolo Totò percorre via Melchiorre Gioia con la Martesana ancora scoperta, viale Certosa, attraversa piazza della Repubblica.

Miracolo a Milano De Sica Gioia

Miracolo a Milano De Sica Gioia

Miracolo a Milano De Sica Repubblica

Miracolo a Milano De Sica Repubblica
Miracolo a Milano De Sica Elvezia GileraLa baraccopoli si trova tra Città Studi e Lambrate, lungo la  via Valvassori Peroni.
Immancabile il ghisa milanese, che dirige il traffico in viale Elvezia, all'altezza del civico numero 2, dove spiccano le vetrine del motoconcessionario Gilera, ora sostituito da un ristorante.
E poi la Scala, la Galleria, il Duomo,  con il fantastico volo sulle scope dei netturbini.
Miracolo a Milano De Sica Duomo

Miracolo a Milano De Sica Gioia
Un film senz'altro da vedere (ora in versione restaurata), con un occhio attento agli scorci della città per notarne i cambiamenti.
Per una bella carrellata di immagini prese dalla pellicola messe a confronto con la Milano d'oggi, clicca qui

Mauro Colombo
ottobre 2016



mercoledì 28 settembre 2016

Il monumento a Garibaldi in largo Cairoli


Garibaldi Cairoli Ximenes

Alla morte di Giuseppe Garibaldi (1807-1882), anche il comune di Milano decise di onorare con un importante monumento l'eroe dei due mondi. 
Il tema di una statua a Garibaldi, assunto come segno dell'unità nazionale, impegnò (soprattutto negli anni immediatamente successivi alla morte) moltissimi Comuni italiani, pur presentandosi come un compito difficile proprio perché coinvolgeva le coscienze popolari, oltre che la creatività degli artisti, a volte combattenti nelle imprese risorgimentali.
Le opere d'arte, per essere apprezzate, richiedevano raffigurazioni veriste di battaglie e al contempo rappresentazioni simboliste dei valori che le avevano animate.
Il Consiglio comunale milanese, consapevole delle difficoltà che l'impresa  artistica avrebbe comportato, bandì un concorso per  ottenere il miglior progetto possibile, richiedendo ai partecipanti il bozzetto per una statua di dimensioni imponenti, dove l'eroe fosse rappresentato a cavallo in posa guerresca.
Purtroppo quel primo concorso venne cancellato per la morte di uno degli artisti in gara.
Si dovette così attendere il 1885: a questo secondo concorso parteciparono, tra gli altri, Ettore Ximenes e Giuseppe Grandi, quest'ultimo con un bozzetto che richiamava il monumento alle Cinque Giornate.
Garibaldi Cairoli XimenesNon ottenendosi però unanimità di consensi da parte dei giurati chiamati a valutare gli artisti in gara, anche questo tentativo venne archiviato senza nulla di fatto. Nel frattempo, il Consiglio comunale prese almeno una decisione: il monumento vincitore sarebbe stato collocato tra via Dante e il Castello, nel tratto di Foro Bonaparte poi dedicato ai fratelli Cairoli, eroi garibaldini.
Garibaldi Cairoli XimenesIl terzo concorso, nell'ottobre del 1888, incoronò vincitore il siciliano Ettore Ximenes (1855-1926), pur tra malumori e dissidi in seno alla stessa commissione giudicatrice.

Dopo un periodo alquanto lungo, finalmente il monumento risultò pronto nel 1895: il 3 novembre venne pomposamente inaugurato alla presenza del sindaco Giuseppe Vigoni, delle autorità e della folla festante. Dal palco, Felice Cavallotti tenne un vibrante discorso.

Garibaldi Cairoli Ximenes

Garibaldi Cairoli Ximenes
L'opera vincitrice, in bronzo, rappresenta Garibaldi a cavallo, in divisa militare, quale generale dell'esercito sabaudo. Accanto al condottiero, ai lati del basamento in granito e marmo progettato dall'architetto Guidini, spiccano le  due allegorie della Rivoluzione e della Libertà.

Garibaldi Cairoli Ximenes

Da allora, salvo il breve periodo in cui il monumento venne rimosso per permettere i lavori di realizzazione della metropolitana 1, Garibaldi scruta fisso l'orizzonte, verso via Dante, o meglio, verso Roma che non riuscì mai a conquistare.

Garibaldi Cairoli Ximenes metropolitana


Mauro Colombo
settembre 2016
maurocolombomilano@virgilio.it



venerdì 16 settembre 2016

Elipadana: quando Milano creò il servizio pubblico in elicottero

elipadana eliporto restelli milano elicottero


Fin dal 1958 il Comune di Milano aveva progettato di unire mediante voli in elicottero il capoluogo lombardo con le più importanti città vicine, quali Torino e Genova, immaginando un collegamento anche con la città svizzera di Lugano. Fu, questo, un anno di voli sperimentali e di annunci giornalistici.
Le cose si concretizzarono l'anno successivo, quando il 16 luglio 1959 venne stipulato l'atto costitutivo della Elipadana SAITE (Società Alta Italia Trasporto Elicotteri), con sede legale in via Albricci. Il Comune di Milano fu da subito socio con il 50% del capitale, mentre il restante pacchetto azionario fu sottoscritto da varie grosse società dell'epoca. 
Fu nominato presidente l'ing. Agostino Giambelli (lo si ricorda per il contributo alla nascita della metropolitana in una targa nel mezzanino di San Babila) e direttore Gino Mattoli.
elipadana via restelli  eliporto elicottero milanoIn città, l'eliporto venne costruito sfruttando un non vasto spiazzo in via Restelli, tra piazza Carbonari e viale Stelvio. Idea poco lungimirante, visto che ben presto i residenti dei palazzi limitrofi iniziarono a protestare e a promuovere azioni volte allo spostamento del fastidioso scalo, che di fatto sorgeva a poche decine di metri dalle finestre di molti malcapitati milanesi.

Il primo volo fu quello del 28 settembre 1959, sulla tratta Milano-Malpensa-Lugano (eliporto di Agno). Costo del biglietto: andata e ritorno 75 franchi svizzeri, cifra che rapportata ad oggigiorno e convertita nella valuta europea, significa all'incirca 260 euro!
Tre voli al giorno, con un tempo di percorrenza di circa 40/50 minuti. Apparecchio utilizzato: il birotore americano Piasecki H21 conosciuto come Vertol V44B, capacità 15 passeggeri, preso in locazione dalla compagnia belga Sabena.
elipadana via restelli  eliporto elicottero milano

Dopo un primo periodo euforico e proficuo, emersero chiaramente gli alti, eccessivi, costi d'esercizio. Il prezzo del biglietto, oltretutto, non era certo alla portata di chiunque. Ad un drastico calo di passeggeri registrato già nel 1960, l'Elipadana rispose mettendo in servizio un modello di elicottero più piccolo (8 posti) e quindi più economico:  il Sikorsky S58C, sempre in locazione dalla Sabena.

elipadana via restelli  eliporto elicottero milano
Nonostante ciò, e benché i prezzi dei biglietti avessero subito un decremento, i clienti si fecero sempre più radi, fino a quando, nel luglio 1961, il servizio fu sospeso e mai più riattivato.
Il servizio di elibus del Comune durò così, tra alti e bassi, solamente un paio d'anni. Il suo fallimento, come detto, è da ricercarsi negli eccessivi costi di manutenzione per i grossi elicotteri in servizio. Si aggiunga che la nebbia spesso costringeva gli elicotteri a terra, rendendo in certi periodi dell'anno il servizio alquanto aleatorio. Peraltro, a fronte di un elevato costo del biglietto, il cliente non aveva una riduzione così apprezzabile nei tempi di percorrenza, visto che andare a Lugano in treno significava impiegarci comunque poco meno di due ore (contro quasi un'ora con l'elicottero).
L'eliporto cadde quindi  in disuso e smantellato, e presto divenne un comodo spiazzo dove far giocare i bambini. Riconvertita l'intera zona, in quel tratto di via Restelli venne costruito un parco giochi (parco Mendel), ed ancora oggi (confrontando le due immagini seguenti) si nota chiaramente dove gli elicotteri si posavano a terra.
elipadana via restelli  eliporto elicottero milano

elipadana via restelli  eliporto elicottero milano


 

Mauro Colombo
maurocolombomilano@virgilio.it
settembre 2016
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giovedì 1 settembre 2016

Giovanni Meschia, un lattivendolo alle Cinque Giornate


Tra i tanti eroi che i libri di storia e le targhe cittadine ricordano per essersi distinti durante le gloriose Cinque Giornate del 1848 (come Augusto Anfossi, Pasquale Sottocorno o Luigia Battisotti Sassi) vi fu chi ebbe la fortuna di essere fotografato, ormai anziano, sull'uscio della propria bottega. Divenendo più immortale di altri.
La foto che vediamo è del 1910, lo scatto ritrae l'Antica Latteria Meschia, al civico 58 del corso di Porta Ticinese.
Seduto, con grembiale bianco, è l'anziano padrone, Giovanni Meschia.


meschia lattivendolo cinque giornate ticinese


Così lo descrive Leone Tettoni nel suo scritto "Cronaca della rivoluzione di Milano", del 1848: "Lattivendolo di Porta Ticinese, va distinto tra i più valorosi combattenti delle barricate durante i cinque giorni. Egli tormentò il nemico ora in Viarenna, ora al bastione, uccidendo alcuni cannonieri sull'atto che stavano per dare il fuoco al loro micidiale istrumento. Apportatosi dietro un camino sul tetto, davanti al campanile di S. Eustorgio, uccise con dieci colpi altrettanti soldati che s'erano impadroniti di quella torre, e da dove moschettavano sopra i cittadini".

Così Antonio Vismara in "Storia delle gloriose cinque giornate di Milano", del 1873: " Il cannone non cessava mai di tuonare dal dazio di porta Ticinese tanto verso il ponte, come dal bastione verso Viarenna. Però le palle non arrivavano sino all'ortaglia delle monache; fu per ciò che il lattivendolo G. Meschia con pochi suoi compagni potettero appostarsi nella contrada delle Vetere; dalla quale con carabine di precisione fulminarono i cannonieri che stavano al dazio; e furon sì aggiustati i colpi, che non uno andò fallito, in modo che mano mano che gli artiglieri avvicinavansi al cannone per darvi fuoco, essi cadevano colpiti dai tiri di quegli animosi".

Ecco una mappa di quegli anni, che ritrae la zona dei combattimenti dove il Meschia si distinse:

ticinese eustorgio meschia


Oggi il civico 58 di corso di Porta Ticinese esiste ancora, tale e quale alla foto, salvo l'aggiunta di troppo degrado (ma questa è un'altra storia).




Mauro Colombo
settembre 2016
maurocolombomilano@virgilio.it