mercoledì 12 ottobre 2022

Villa Scatti-Martignoni, poi Borletti, in via Monti-XX Settembre

 

Progetto villa Scatti Martignoni

A ridosso della neonata via XX Settembre, pensata e aperta con il Piano regolatore Beruto nel 1889, per agevolare la costruzione di ville destinate all'alta borghesia milanese, in cerca di ampi spazi per dimore di rappresentanza dotate di ogni comfort (ne abbiamo parlato qui), venne acquistato dalla famiglia Scatti Martignoni il lotto di terreno compreso tra le vie Rovani-Leopardi-XX Settembre-Monti

Un lotto di circa 3.500 metri quadri, dei quali 350 vennero sottoposti ad autorizzazione per edificare una villa su più piani, come da progetto in stile eclettico a firma di Francesco Solmi.

I lavori iniziarono nel 1893, appena le condizioni climatiche permisero di fatto la formazione del cantiere, vale a dire in marzo/aprile. Le maestranze, sotto la guida del capomastro Bosisio (oggi avrebbe la qualifica di direttore dei lavori), portarono velocemente avanti il lussuoso progetto e la villa fu completata nell'arco di un biennio.

Fu dotata fin da subito di allaccio all'acqua potabile e alla linea di corrente elettrica Edison. L'impianto di riscaldamento centralizzato e i numerosi bagni e ritirate per i domestici conferirono alla villa il giusto prestigio e il corretto standard d'epoca per quel tipo di costruzione alto-borghese.

Si realizzarono tre ingressi: due su via Rovani, quello principale di rappresentanza e uno, più discreto, di servizio per domestici e fornitori. Il terzo, su via Leopardi, fu pensato come carraio per le carrozze, e ben presto venne usato dalle prime autovetture.

La spesa complessiva fu di 150.000 lire.

Il passaggio ai Borletti

senatore borletti
In piena Grande Guerra, nel 1917, la villa fu acquistata da Senatore Borletti, rampollo della nota famiglia attiva nel tessile Borletti.

Senatore è uomo intraprendente, e diversifica ben presto le attività familiari, abbracciando altri campi, in primis la meccanica di precisione, fondando la Veglia (con la quale si arricchisce ulteriormente vendendo materiale all'Esercito).

Si dedicherà poi al commercio rilevando i magazzini Bocconi, trasformandoli in un magazzino di fascia medio alta e ribattezzandoli La Rinascente. Contestualmente fonda UPIM, per articoli di prezzo fisso e medio basso, puntando ad una clientela popolare.

Entra in affari anche con Mondadori, e da appassionato di sport, acquista l'Inter, divenendone presidente.

Acquistata la villa di rappresentanza, subito chiamò Piero Portaluppi, affinchè ideasse dei doverosi restauri conservativi ma necessari. 

progetto Portaluppi villa Borletti
All'inizio degli anni trenta, divenuto il Borletti senatore del Regno (di nome e di fatto, potremmo dire), e abbisognando (visto il potere -anche politico in seno al PNF- e il prestigio acquisito) di spazi di rappresentanza secondo uno stile più moderno per ricevere ospiti illustri, venne chiamato il giovane Ignazio Gardella, affinchè presentasse un progetto di radicale rinnovamento degli spazi della villa.

Il progetto definitivo è degli anni 1935-1936, e lo stesso Gardella così lo sintetizzò: "Nella trasformazione di Villa Borletti il problema era quello di creare uno spazio unitario
in una villa di tipo tradizionale fatta di ambienti separati. Ho lasciato solo i muri portanti, ho
allargato lo spazio interno sostituendo una facciata con una grande vetrata e in questo spazio
ho inserito dei setti murari che lo dividevano e ospitavano la collezione di oggetti d’arte dei
Borletti. Il piano terra è un po’ staccato dal suolo, è un particolare che distingue la struttura
portante dagli elementi portati, che fa intendere che l’edificio è appoggiato su pochi punti.
Questi in quel periodo erano princìpi sacri".

gardella progetto villa borletti

Nel maggio del 1936, a lavori terminati, la nota rivista “Casabella" dedicò al progetto
di Gardella 6 pagine ampiamente illustrate, dove lo stesso autore raccontava dei materiali utilizzati, della struttura e delle componenti del progetto. L’intervento venne riproposto nel 1937 dalla rivista “Domus.

La villa passò poi, inevitabilmente, più volte di mano, e si legò a vari nomi di ricchi e importanti imprenditori locali. Risulta pure essere stata di Berlusconi. Recentemente è stata venduta per una cifra pari a 20 milioni di euro.

 

Bibliografia 

L'edilizia moderna, 1895, volume quarto (Comitato di redazione: Beltrami più Altri);

Baglione C., Tra Mies e il Giappone. La Villa Borletti a Milano (1935-36), in “Casabella”, n.
736 (2005), pp. 8-13.

Per una biografia di Senatore Borletti, clicca qui

 

Mauro Colombo

ottobre 2022

maurocolombomilano@virgilio.it

 

mercoledì 15 giugno 2022

Quando la Vettabbia scorreva a cielo aperto in centro.

 


Il canale della Vettabbia (o Vettabia, ma anche Vecchiabbia), nasce a ridosso di piazza Vetra, grazie all'unione del canale Nirone e di altre acque che si raccoglievano sotto la Vetra, per poi dirigersi verso il sud della città.

Una relazione del 1614 (degli ingegneri Corbetta e Lucino) identificava la nascita della Vettabbia come l'unione del Nirone e di due rami d'acqua uscenti dalla fossa interna del naviglio nei pressi della torre detta dell'imperatore (al ponte delle Pioppette).

Di origine antichissima, in epoca romana serviva quale canale per il trasporto delle merci (il nome deriverebbe infatti dal termine vectabilis, cioè capace, adatto, al trasporto di cose). 

Che la Vettabbia fosse di antichissima origine e sicuramente antecedente lo scavo del naviglio Grande lo si affermò anche durante una controversia tra alcuni fruitori delle sue acque e il signore Filippo Maria Visconti, che da loro esigeva delle tasse come da tutti i fuitori del naviglio Grande (controversia degli anni 1408-1414).

La Vettabbia rappresentò per secoli il principale canale cloacale di Milano, in grado di scaricare i liquami cittadini verso sud, dove l'agricoltura ringraziava per tale apporto di azoto e di altri elementi fertilizzant.

Questo corso d'acqua, detto anche cavo Vettabbia, scorreva subito dopo il suo incile lungo una direttrice che cambiò spesso nome, fino a quando il tratto fino alle mura spagnole venne interrato.

vettabbia canale roggia cavo
 Ciò avvenne progressivamento a partire dall'ultimo quarto dell'ottocento, per concludersi con la sistemazione delle aree nate dalla copertura qualche anno prima prima dello scoppio della Grande Guerra. 

 

Nella mappa a lato, del 1814, vediamo bene lo scorrere della Vettabia in quello che all'epoca era definito Borgo del cavo Vettabbia

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Qui sotto, invece, una mappa del 1883. Abbiamo già i nomi delle vie Santa Croce, Vettabbia, Sambuco.

A partire dalle mappe del novecento, il corso d'acqua progressivamente sparisce, in quanto interrato, e la via Vettabbia inesorabilmente si allarga. Per poi accorciarsi e lasciare il posto al toponimo Calatafimi.

Recentemente il tratto finale verrà rinominato Aurispa.

Nelle foto seguenti possiamo vedere questo tratto di Vettabbia quando ancora era scoperto e ospitava, in Santa Croce, un mulino (azionato dal dislivello tra naviglio della fossa interna di via Molino delle armi e la Vettabbia). Vediamo poi, con lo scorrere degli anni, la Vettabbia sparire sotto la copertura stradale.
In via Santa Croce, grazie al dislivello rispetto al naviglio della fossa interna, era possibile azionare le pale di un Mulino
Ecco la Vettabbia in quella che oggi è chiamata via Aurispa
Il cantiere per i lavori di interramento
via Calatafimi così nominata dopo l'interramento della Vettabia. Si vede la caserna Emanuele Filiberto di Savoia
via Vettabia angolo Cosimo del Fante, dopo l'interramento del canale venne costruito un mercato coperto. Si vede il bel palazzo Casa Venegoni, del 1923-1927.

 

 FONTI

Bruschetti G., Raccolta delle opere idrauliche e tecnologiche, 1864

 Il Monitore tecnico, 1938, pagina 346

Mauro Colombo 

giugno 2022 

maurocolombomilano@virgilio.it

giovedì 3 marzo 2022

Il "Naviglietto" che portava i Duchi al castello di Cusago

 

castello di cusago, un tempo
castello di cusago, un tempoTra gli innumerevoli castelli visconteo-sforzeschi sparsi per la Lombardia, il Piemonte e non solo, quello più vicino a Milano è il castello di Cusago, salvo errori di calcolo. Tralasciando il suo attuale stato di abbandono al quale stanno (forse) ponendo parzialmente rimedio alcuni lavori iniziati e tutt'ora in corso, il bel castello campestre meriterebbe ben più di una rapida occhiata dall'esterno, e di poche righe scritte, ma qui ci accontenteremo di sottolineare qualche curiosità. 



bernabò visconti
Edificato per volere di Bernabò Visconti, signore di Milano, verso gli anni 1360-1369, probabilmente sul sedime già occupato da un antico fortilizio forse di epoca longobarda, il castello di Cusago non ebbe, fin dal suo progetto, alcunchè di militare. 



Assenti risultano le torri d'angolo e il fossato, a dimostrazione che la  sua posizione territoriale non aveva, all'epoca del Bernabò, alcuna utilità difensiva, piuttosto una utilità di svago e piacere. Il castello era circondato da boschi ricchi di selvaggina, vicino alla città e facilmente raggiungibile con apposita strada Ducale che usciva da Baggio passando per la località di Assiano. Il posto ideale insomma dove trascorrere i periodi estivi dedicandosi ai classici piaceri nobiliari: la caccia (che Bernabò amava a dismisura), la conversazione, la tavola. 
 
filippo maria visconti
Morto Bernabò, dopo un periodo di disinteresse, il castello ebbe una nuova vita grazie all'interessamento del duca Filippo Maria Visconti (1392-1447).

La residenza campestre, forse anche con l'aiuto di artisti dell'epoca, fu abbellita e ingentilita ulteriormente. Ma Filippo Maria andò oltre gli abbellimenti architettonici e le migliorie interne, egli pensò anche a come raggiungere facilmente il castello, da Milano, senza doversi sobbarcare il viaggio a cavallo o in carrozza, sulla sconnessa e non troppo sicura strada che da Baggio portava nel contado. 
Egli chiese ai suoi "inzegneri" di realizzare quindi una via d'acqua a lui riservata, comoda e sicura. 
A lui si deve l'escavazione di un canale navigabile, detto "Naviglietto", che dal naviglio Grande portasse direttamente a Cusago. L'incile era dalle parti di Gaggiano, più o meno dove oggi sorge la cascina Venezia. Il piccolo corso d'acqua (largo il giusto per far passare le barche ducali, dette carrette, e poco profondo, visto che tali barchini avevano scarso pescaggio) percorreva la campagna per circa 10 chilometri. Insomma un'autostrada riservata, un corso d'acqua privato che evitava al Duca scomodi scossoni. A Filippo Maria infatti bastava salire in barca a Milano e lungo la fossa interna, poi il naviglio grande, ed infine il Naviglietto, sbarcare nei pressi del castello di Cusago (esisteva una piccola, apposita darsena).

Il percorso è ancora oggi identificabile con il tracciato dell'attuale strada provinciale numero 162, che appunto unisce il naviglio Grande a Cusago, passando accanto alla cascina Naviglietto, toponimo che ricorda proprio il comodo corso d'acqua. Questa strada altro non era se non l'alzaia del Naviglietto ducale, quella percorsa cioè dai cavalli che alzavano, cioè riportavano controcorrente, i barchini del Duca. 
mappa del Claricio, si nota il naviglietto

Oggi il Naviglietto, che ancora costeggia la strada, è pressoché irriconoscibile, ridotto ad un canale di irrigazione, ben diverso da ciò che era e rappresentava un tempo.
Anche Ludovico Maria Sforza, il Moro, amò il castello di Cusago e vi apportò migliorie e abbellimenti, e probabilmente anch'egli ebbe modo di usare il Naviglietto, per raggiungerlo.
Con la fine della signoria sforzesca, e l'arrivo degli Spagnoli prima e di altre potenze straniere poi, il castello perse di interesse e passò di mano più volte, e anche il Naviglietto, caduto in disuso, si ridusse un po' alla volta ad essere il canale irriguo che vediamo oggi.

Cusago: castello e naviglietto


castello di cusago, un tempo

Mauro Colombo

marzo 2022

maurocolombomilano@virgilio.it


mercoledì 9 febbraio 2022

L'ospedale chirurgico mobile "città di Milano" (Grande Guerra)

 

ospedale chirurgico Città di Milano

Poco dopo l'entrata in guerra dell'Italia (24 maggio 1915), ci si rese conto che per quanto la Sanità militare fosse ben organizzata e professionalmente di alto livello, anche grazie alla Croce Rossa Italiana, la situazione al fronte andava gestita con metodi nuovi. 

L'altissimo numero di soldati feriti, la tipologia di ferite spesso devastanti a causa delle armi da fuoco utilizzate nel conflitto, il posizionamento dei teatri di battaglia in località montane e difficilmente raggiungibili, spinse molte menti illuminate a cercare continue soluzioni per alleviare sofferenze e salvare giovani vite.

baldo rossi
Il professor Baldo Rossi (1868-1932) dell'ospedale Maggiore di Milano, maggiore medico della CRI, dopo alcuni sopralluoghi al fronte si rese conto che  i feriti gravi non trasportabili non ricevevano, dalle unità sanitarie posizionate in prima linea, alcun vero soccorso chirurgico, benchè fondamentale e urgente. I poveretti venivano rimandati alle strutture sanitarie di seconda linea, dove nella maggioranza dei casi non arrivavano vivi per i traumi subiti o per le complicanze che il trasporto comportava. Fondamentale sarebbe stato non tentare inutili e rischiosi trasporti, ma operare d'urgenza lì dove il ferito si trovava, a ridosso della prima linea.

Il professor Rossi ideò così una snella unità chirugica mobile, da montare e smontare rapidamente e da aggregare alle unità sanitarie di prima linea. Questa nuova unità sanitaria fu pensata per ospedalizzare fino a 100 feriti, completa di tutta la strumentazione chirurgica. L’ospedale avrebbe potuto contare sulla dotazione di tende e baracche trasportate su sei autocarri (un Fiat 15 ter, celebre veicolo pensato per il Regio Esercito, e altri 5 autocarri leggeri), cui si poteva aggiungere quello con l’attrezzatura radiologica (autocarro radiografico) e 2 automobili e un carro per la sterilizzazione. 

fiat 13 ter RE Città di Milano

La tenda chirurgica, dove i medici avrebbero finalmente potuto operare d'urgenza persino in prima linea, sarebbe stata alimentata elettricamente (illuminazione e sterilizzazione) dal motore del Fiat 15 ter, che prestava tramite una cinghia i propri cavalli per alimentare le apparecchiature necessarie.

Il 20 dicembre 1915 sì costituì un Comitato milanese, retto dall'onorevole Giuseppe De Capitani D'Arzago, che raccolse prestissimo, grazie alla generosità dei milanesi, 250.000 lire, sufficienti a dar vita alla prima unità sanitaria, che fu intitolata per riconoscenza alla "Città di Milano" e della quale divenne direttore lo stesso prof. Baldo Rossi (ricordo che la generosità dei milanesi aveva già permesso a fine ottocento di allestire un ospedale fluviale).

L'inaugurazione di tale ospedale mobile avvenne il 28 marzo 1916, nel cortile del Collegio militarizzato di san Celso, dove l'intera unità venne allestita e presentata.

 


Visto l'entusiasmo, si riuscì in breve tempo ad allestire un secondo ospedale chirurgico mobile, gemello del primo, grazie al contributo della Cariplo, e per questo intitolato alle "Province Lombarde".

Il 15 maggio 1916, alle ore 14, dallo scalo merci di Porta Vittoria partirono su un apposito treno verso il fronte sia il "Città di Milano" sia il "Province Lombarde". 

Fu poi allestito, nel 1917, un terzo ospedale chirurgico mobile, quest'ultimo intitolato  Giovanni Battista Monteggia, il celebre chirurgo che aveva operato tra il '700 e l'800 presso l'Ospedale Maggiore di Milano e presso la Pia casa delle partorienti di santa Caterina alla Ruota.

Varie furono le zone, sempre avanzate, dove questi ospedali operarono, salvando vite laddove diversamente sarebbe stato impossibile.