I cimiteri cinquecenteschi
All’epoca dello storico Bernardino Corio, come egli stesso lasciò scritto nel 1503 nel famoso “Historia di Milano, volgarmente scritta dall'eccellentissimo oratore M. Bernardino Corio Gentil'huomo Milanese”, la città di Milano aveva molti piccoli cimiteri, e per l’esattezza: tre camposanti nel Brolo (ad uso della chiesa di Santo Stefano e di due ospedali limitrofi), uno di fronte la basilica di San Lorenzo, detto della cortina (i cui resti vennero scoperti e studiati durante alcuni lavori di restauro delle case che si affacciano sul colonnato romano), uno in san Pietro in campo lodigiano, uno di fronte la chiesa di Santa Eufemia. Altri quattro erano presso la chiesa di sant’Antonio, presso san Carpoforo, presso Santa Maria della Scala, e l’ultimo nell’attuale zona retro-absidale del Duomo, un tempo detta del Campo Santo (ove venivano seppelliti anche gli operai e gli artisti che lavoravano per la Veneranda Fabbrica).
Nel 1469 era stato soppresso il cimitero innanzi la chiesa di San Marco, in occasione dello scavo per l'apertura dell'omonimo laghetto (detto anche tombon).
Inoltre, l’Ospedale maggiore, la Ca’ Granda voluta da Francesco Sforza, che aveva iniziato a ricoverare ammalati nel 1464, provvedeva a seppellire i "propri" morti direttamente all’interno dei propri spazi (chiostri, cortili, sotterranei), ma già nel 1473 segnalava alla città di avere seri problemi di reperimento di adeguati spazi. Ciononostante, le sepolture interne continuarono senza sosta, come risulta anche leggendo i testamenti che i ricoverati spesso facevano predisporre chiamando al capezzale un notaio (ad esempio, tra i testamenti redatti dal notaio milanese Valerio Balestreri, quello di Dionisio da Cermenate, datato 1625, dispone che il suo corpo venisse sepolto “nell’ospedale secondo il rito solito dei reverenti padri crociferi” - ASM fondo Notarile b27780).
La rotonda di San Michele “ai nuovi sepolcri”
Quando l’Ospedale maggiore non fu più in grado di reperire all’interno ulteriori spazi di sepoltura (e considerando che la situazione igienico sanitaria era divenuta comunque intollerabile a causa del fetore di decomposizione dei morti ivi inumati) si optò per la costruzione di un apposito e distante sepolcreto finalizzato ai soli cadaveri della Ca’ Granda, stabilendo contestualmente la proibizione di effetturare ulteriori sepolture interne.
La zona per il camposanto fu scelta il più vicino possibile
al nosocomio, pur restando dallo stesso e dalle abitazioni della zona
adeguatamente separato. Per raggiungerlo, fu costruito il ponte detto
dell’Ospedale, che scavalcava il naviglio interno (oggi via Francesco Sforza) e
quindi predisposto un rettifilo (oggi via San Barnaba e via Besana) che
conducesse celermente alla località prescelta.
I lavori per il cimitero, che prese il nome di Nuovi
Sepolcri (ma comunemente detto dai milanesi “Foppone dell’ospedale”),
iniziarono nel 1695 e, procedendo celermente, consegnarono alla città un
razionale camposanto che venne utilizzato a partire dei primi mesi del 1700.
Nel 1713 Attilio Arrigoni progettò la chiesa centrale, dedicata appunto a San Michele, mentre per aversi l’attuale recinto porticato si dovette attendere il 1725.
La Rotonda, oggi detta di via Besana, funzionò per circa 82
anni, accogliendo all’anno una media di 1500 morti, per un totale
approssimativo di ben 126.000 sepolture.
Nel 1809 Eugenio di Beauharnais volle trasformare la Rotonda
in pantheon del Regno d’Italia (la cui capitale era appunto Milano) e incaricò
il Cagnola di studiarne le dovute trasformazioni. Il progetto tuttavia
naufragò, e ben presto lo spazio dell’ex cimitero finì con l’ospitare gli
ammalati contagiosi, e ciò fino a quando venne aperta la moderna struttura
sanitaria del Derganino, nel 1896.
I cimiteri tardo-settecenteschi
Nella seconda metà del Settecento, sia per l’accrescimento
considerevole del numero degli abitanti sia per una diversa volontà del governo
di gestire le problematiche di polizia mortuaria, nel rispetto di regole più
severe e nel solco tipicamente austriaco di meglio organizzare gli aspetti
della vita cittadina, a Milano vennero allestiti 5 nuovi cimiteri.
A questi si affiancarono altre piccole zone di sepoltura, quasi tutte aperte all’inizio del 1700, che per dimensioni e scarso utilizzo non possiamo tuttavia definire propriamente cimiteri cittadini. Volendo tuttavia, per completezza, dare contezza anche di questi ultimi, li passiamo brevemente in rassegna:
- uno in via S. Nicolao, contiguo ad un magazzino,
utilizzato per seppellire i soldati deceduti durante l’assedio al Castello del
1707;
- altri due, sempre adibiti ad accogliere i soldati morti
nel medesimo fatto d’armi, localizzabili il primo al ponte di porta Vercellina
e il secondo tra il ponte dei Fabbri e via san Vittore;
- quello dei padri teatini in porta Comasina, presso la
chiesa di sant’Anna;
- un quinto fuori porta Tenaglia presso sant’Ambrogio ad
nemus;
- uno contiguo al pulvinare dell’Arena.
Infine, sparsi per la città, si contavano diversi ossari,
che custodivano i resti dei cadaveri riesumati nei casi di svuotamento e
soppressione di antichi cimiteri, o in caso di chiusura dei tanti piccoli
ospedali, prima della loro soppressione e riunificazione all’interno dell’unica
struttura della Ca’ Granda. Tra questi, il più famoso e tutt’oggi visitabile è
quello presso San Bernardino (alle ossa), in piazza santo Stefano. Una lapide ricorda “Date et dabitur vobis".
Cimitero di San Rocco al Vigentino
Chiusa la Rotonda di San Michele, immediatamente l’Ospedale
Maggiore acquistò nel 1783 due lotti di terreno fuori porta Romana, a sinistra
dell’attuale corso Lodi. Permutato poi parte di tale spazio con un ulteriore
appezzamento contiguo al fine di rendere più regolare la forma del nuovo
camposanto, i morti cominciarono ad essere seppelliti il 9 marzo 1783. Il
cimitero fu detto di San Rocco, e con il trascorrere degli anni venne
ingentilito da alcune cappelle e da altri lavori di semplice architettura,
relativi alla cinta muraria e ai locali di servizio.
A causa del suo utilizzo anche da parte del Comune dei Corpi
Santi (o meglio, di quelle zone dei Corpi Santi vicine a questo cimitero),
presto il San Rocco divenne insufficiente, tanto più quando venne rimpicciolito
al fine di agevolare il passaggio della nuova strada di circonvallazione,
tracciata tra le porte Romana e Ticinese. Venne pertanto chiuso nel 1826.
Trovarono comunque sepoltura, durante le Cinque giornate del 1848, alcuni
soldati austriaci uccisi in uno scontro avvenuto poco distante.
Nel 1875 vennero sollecitati i lavori di bonifica dell’area:
si traslarono, quando possibile, i cadaveri nel nuovo cimitero di Musocco, e si
recuperarono i monumenti e le lapidi in buone condizioni.
Cimitero del Gentilino
Questo nuovo cimitero, aperto al servizio nel 1787, altro
non era se non l’espansione e la riqualificazione del vicino e antico cimitero
di san Rocco al Gentilino (non ci si stupisca del fatto che il nome di san
Rocco ricorra così spesso: come ricorda il Latuada, era usanza aversi una
cappella o una chiesa dedicata a questo santo presso ogni ingresso delle città,
con la speranza di essere aiutati nel tener fuori la peste). Il vecchio foppone
era tristemente famoso per essere stato allestito in grande fretta durante la
pestilenza del 1576.
La nuova struttura di forma rettangolare era identificabile nel quadrilatero oggi compreso tra le vie Tantardini-Tabacchi-Balilla-Baravalle.
Venne aperto in fretta e con pochissimo dispendio di denaro,
tanto che a lavori ultimati il nuovo cimitero appariva tremendamente squallido
e privo di qualsivoglia elemento artistico o decorativo. La scarsezza
qualitativa dei materiali edili e i lavori in economia costrinsero peraltro la
municipalità ad intervenire più volte con lavori di straordinaria manutenzione.
Solo nel 1820 iniziarono ad essere elevate alcune cappelle per sepolture di
famiglia e ordini religiosi, che col tempo divennero sedici.
La chiesuola annessa venne abbellita nel 1830, e
successivamente si tracciarono alcuni vialetti interni.
Dopo il 1867 iniziarono, per varie ragioni, chiusure a
singhiozzo, anche a causa delle lamentele avanzate dagli abitanti delle case,
sempre più vicine e costruite senza il mantenimento delle aree di rispetto
contigue.
Alcune interruzioni temporanee furono dovute alle epidemie
di colera, e a quella vaiolosa del 1888-1889. Venne definitivamente soppresso
il 22 ottobre 1895, e subito iniziò lo svuotamento delle fosse, con trasporto
dei cadaveri presso il nuovo cimitero di Musocco.
Cimitero di San Gregorio
I lavori vennero anche in questo caso fatti in grande
economia, tanto da necessitare negli anni successivi di continui lavori di
consolidamento e ripristino prevalentemente della cinta muraria, famosa in
città per essere soggetta a piccoli crolli ad ogni forte temporale estivo o
periodo di frequenti piogge autunnali.
La così poco solida recinzione venne un po’ alla volta
ricostruita integralmente, e nel 1857 furono altresì appaltati i lavori per il
suo innalzamento a metri 3,85, al fine di potervi collocare un maggior numero
di lapidi.
Nel 1866, aperto il Monumentale, questo cimitero venne prima
destinato ad accogliere i morti del comune dei Corpi Santi, poi, unificatisi i
due enti territoriali nell’unico comune di Milano nel 1873, il cimitero venne
riaperto ad accogliere i morti della zona nel 1875. Chiuso poi definitivamente
il 31 agosto 1883, e svuotato a partire dal decimo anno successivo (come da
regolamenti di Sanità Pubblica), l’area venne adibita ad accogliere nuovi
palazzi e vario tessuto urbano.
Recentemente, nel maggio 2014, durante alcuni lavori di scavo in via Benedetto Marcello, sono affiorate ossa dei vecchi inumati.
Recentemente, nel maggio 2014, durante alcuni lavori di scavo in via Benedetto Marcello, sono affiorate ossa dei vecchi inumati.
Cimitero di San Giovannino alla paglia (o di Porta Magenta)
Si trovava a sinistra uscendo da porta Vercellina, e quando
questa prese a chiamarsi porta Magenta, anche il cimitero venne identificato
con questo nome fino alla sua chiusura. Occupava l’area subito fuori dal
bastione spagnolo che si trovava dove oggi si è creata la piazza Aquileia.
Anche in questo caso si trattava già di un piccolo cimitero, che venne ampliato e riorganizzato nel 1787. Si estendeva in forma rettangolare avendo al centro l’attuale incrocio tra le vie Verga e Giovio, a sinistra raggiungeva quasi il tracciato ferroviario che scorreva sull’attuale asse di via Alessandri. Nel 1825 venne ingrandito, e continuò ad essere utilizzato ininterrottamente, senza particolari vicende, sino al 1868, quando fu adibito ad accogliere solo i morti del comune dei Corpi Santi. Anche in questo caso, avendo la Municipalità fatto male i conti, dal 1875 venne ripristinato per accogliere tutti i morti della zona. Cessò la sua funzione il 30 novembre 1895, e dal giorno successivo i morti che vi erano destinati per territorialità vennero inumati a Musocco.
A testimonianza della sua esistenza, sulla piazza Aquileia
si affaccia un piccolo tabernacolo-ossario, che reca la scritta di gusto
tipicamente tardo barocco: “Quel che sarete voi, noi siamo adesso. Chi si
scorda di noi, scorda se stesso”.
Cimitero della Mojazza
Fuori porta Garibaldi (Comasina), derivava probabilmente il
suo nome dalla zona che lo ospitava, detta “la Mujazza” per via del terreno
paludoso, acquitrinoso, di facile allagamento con conseguente ristagno di acque limacciose (dal milanese: mojà e mojascia).
Si inseriva su di un vecchio camposanto consacrato il 28
aprile 1686 (e che a sua volta derivava da un antico luogo di sepolture campestri), che venne ampliato a levante con l’acquisto da parte del Comune di
un vasto appezzamento di terreno, posizionato a destra dell’attuale piazzale
Lagosta. Le inumazioni ebbero inizio nel 1787.
In questo cimitero trovarono sepoltura, tra i tanti,
Cesare Beccaria e Giuseppe Parini, quest'ultimo inumato in una fossa comune verso il 16/17 agosto 1799.
La sepoltura comune del Parini venne stigmatizzata, a mo’ di esempio, dal Foscolo nel suo carme Dei Sepolcri: “Forse tu fra plebei tumuli guardi
vagolando, ove dorma il sacro capo
del tuo Parini? A lui non ombre pose
tra le sue mura la citta, lasciva
d'evirati cantori allettatrice,
non pietra, non parola; e forse l'ossa
col mozzo capo gl'insanguina il ladro
che lasciò sul patibolo i delitti”.
Il 20 aprile 1814 fu seppellito lo sfortunato ministro napoleonico delle finanze, il novarese Giuseppe Prina, massacrato dal popolo durante la famosa sollevazione contro le tasse, quando era imminente il rientro in città degli austriaci.
Nel 1817 fu aggiunto un nuovo appezzamento sempre verso levante, per cercare di arginare il numero crescente di inumazioni.
Nel 1832 fu sepolto Barnaba Oriani, celebre matematico e soprattutto astronomo milanese legato all'Osservatorio di Brera; la sua lapide fu salvata e spostata nel cortile (la si vede entrando, sulla sinistra) della certosa di Garegnano, località dove nacque.
Chiuso con l’apertura del Monumentale poi al solito
riaperto, fu definitivamente soppresso il 22 ottobre 1895.
ingresso alla Moiazza
Comune dei Corpi Santi
Parallelamente al comune di Milano, anche il comune dei
Corpi Santi, che si estendeva tutt’attorno alla città al di fuori del perimetro
delle mura spagnole, si risolse, con delibera assunta nel 1786, a riorganizzare ed edificare i necessari luoghi di sepoltura.
Nello stesso anno, un’apposita asta pubblica appaltò al
capomastro Solaro le costruzioni di cinque camposanti, tutti di identica
concezione architettonica: pianta quadrata, muro di cinta in mattoni con
cancello in ferro per l’ingresso, cappella in muratura e camera mortuaria.
Ricordiamo che nel 1873 il Comune dei Corpi Santi venne annesso a Milano.
Ricordiamo che nel 1873 il Comune dei Corpi Santi venne annesso a Milano.
Calvairate
Fin dal 1576 funzionava un piccolo cimitero presso una
parrocchia consacrata da San Carlo, e su questo appezzamento di terreno venne
appunto costruito il cimitero di Calvairate, che però, già nel 1832, abbisognò
di essere ingrandito notevolmente.
Successivamente il comune dei Corpi Santi avrebbe voluto
ingrandirlo ulteriormente, ma incontrando grosse difficoltà sia economiche sia
di acquisto dei terreni limitrofi, rinunciò al progetto chiedendo ed ottenendo
dal comune di Milano il permesso di sepoltura presso il cimitero di porta Tosa.
Salvo rare eccezioni, smise di accogliere sepolture nel 1847.
Salvo rare eccezioni, smise di accogliere sepolture nel 1847.
Monluè
Sorto nella zona dove fin dal 1267 sorgeva una chiesa con
annesso camposanto, il cimitero di Monluè si trovava sulla strada per Tagliedo.
Servì anche per le sepolture degli abitanti di Morsenchio e Mezzate. Nel 1885
cessò di accogliere inumazioni.
Gratosoglio
Anche questo cimitero nacque su un terreno già consacrato e
votato alle inumazioni fin dal secolo XII. Venne deliberata una sua estensione
nel 1876, ma problemi di ordine igienico-sanitari ne sconsigliarono non solo
l’ingrandimento, ma persino la sua attività, che di fatto era stata già sospesa
con lo spirare del 1874.
Tuttavia, servendo questo anche per i morti di Assago e di
Quintosole, ed essendo le sepolture state dirottate sul quello milanese del
Gentilino, si levarono numerose proteste tra la popolazione a causa della
scomodità del lungo tragitto da compiersi.
Nel 1884, accolte alla fine le proteste, il comune di Milano
ne decretò la provvisoria riapertura, stabilendo poi la sua messa a norma e il
suo ingrandimento. Tuttavia non se ne fece nulla, gli spazi rimasero quelli che
erano fino a quando, in maniera definitiva, venne chiuso il 2 aprile 1897.
Tre Ronchetti
Edificato come gli altri nel 1786, ebbe breve attività, a
causa dell’innalzamento della falda acquifera che comprometteva fortemente la
decomposizione dei cadaveri in piena sicurezza. Fu così chiuso nel 1842.
Nello stesso anno si appaltarono le opere per la realizzazione del nuovo cimitero in sua sostituzione.
Nello stesso anno si appaltarono le opere per la realizzazione del nuovo cimitero in sua sostituzione.
Barona
Si trovava a una distanza di soli ventisei metri dal
Lambretto (o Lambro morto), e già nel 1830 subì rifacimenti e migliorie. Nel
1841 venne ampliato fino a raggiungere un’estensione di 500 metri quadrati.
Il comune di Milano deliberò il 9 aprile 1875 la sua chiusura, dirottando i morti al Gentilino.
Il comune di Milano deliberò il 9 aprile 1875 la sua chiusura, dirottando i morti al Gentilino.
I cimiteri ottocenteschi
Cimitero di Porta Vittoria (Porta Tosa)
La generale carenza di spazi per il seppellimento dei morti obbligò la città a prendere in considerazione l’idea di ampliare i cimiteri esistenti o di crearne di nuovi.Inoltre la maggior parte dei cimiteri tardo settecenteschi si trovava già, negli anni Venti dell’Ottocento, a confinare con palazzi e strade aperte al pubblico passaggio, essendo la città in espansione continua.
Nel 1826 il Comune decise così di comperare da Pietro Carcano un’area di 55.066 metri quadrati fuori porta Tosa, al fine di raccogliere anche i morti dell’ospedale Maggiore, oltre che i defunti dei quartieri delle porte Romana e Ticinese.
Il nuovo camposanto aveva l’ingresso sul corso XXII Marzo, ed era delimitato a sinistra dalla via Bonvesin della Riva, contiguo quindi alla chiesa di santa Maria del Suffragio. A destra lambiva quasi l’attuale via Carlo Poma. La sua estensione a nord raggiungeva e superava l’asse oggi formato dalla via Marcona.
Le inumazioni iniziarono il 1° gennaio del 1827. Successivamente si ebbero numerose opere di muratura varia, per rettificare gli spazi e per erigere costruzioni ornamentali o di servizio. Segnaliamo i lavori del 1846 per ristrutturare la sala delle autopsie, al fine di meglio sfruttarla visti i progressi scientifici ormai raggiunti.
Smise di accettare inumazioni il 30 giugno 1896.
Cimitero Monumentale
La genesi del cimitero Monumentale è da ricercarsi non tanto e non solo nella penuria di spazi preposti alle sepolture, situazione da sempre cronica nella storia milanese, quanto piuttosto nella volontà di creare un cimitero che rispondesse a precisi canoni artistici ed estetici, un luogo cioè in grado di rendere decoroso ed artistico l’insieme delle sepolture e delle cappelle che vi avrebbero dovuto trovare posto.
Il primo atto ufficiale del Monumentale fu la delibera presa nella seduta del Consiglio comunale dell’11 luglio 1825, con la quale iniziarono gli studi per la fattibilità di un cimitero degno di rendere onore ai defunti sull’onda emozionale suscitata nella popolazione italiana dal carme del Foscolo, Dei Sepolcri, uscito per le stampe nell’aprile del 1807 con l’epigrafe “Deorum Manium iura sancta sunto”. Il Foscolo si inseriva, polemicamente, nel dibattito nato in seguito all’editto napoleonico detto di Saint Cloud, applicato in Italia dal 5 settembre 1806, col quale si imponeva che i cadaveri fossero sepolti soltanto nei cimiteri e che non si facesse alcuna distinzione tra defunti comuni o famosi. Le sepolture dovevano essere anonime e la collocazione delle lapidi era relegata ai margini dei cimiteri. Foscolo, che pur condivideva molti aspetti dei presupposti culturali dai quali nascevano simili provvedimenti, ne rifiutava però l'effetto di omologazione che ricadeva sui defunti e sui valori del passato riconoscibili in essi.
Purtroppo, date le ristrettezza delle finanze comunali, solamente nel 1829 si giunse finalmente alla volontà concreta di realizzare un nuovo (e unico) cimitero al servizio dell’intera città di Milano. Trascorse tuttavia un altro decennio costellato di delibere, acquisti di terreni, intoppi burocratici governativi, fino a quando la situazione parve sbloccarsi nel 1838 con la pubblicazione di un apposito bando di concorso per la presentazione di un progetto avente lo scopo di erigere un cimitero monumentale occupante un’area di 55.200 mq comportante una spesa non eccedente il milione e trecentomila lire.
La commissione esaminatrice, presieduta dal podestà Gabrio Casati, e composta da otto membri tra architetti, ingegneri e consiglieri comunali (ricordiamo solo il Canonica e l’Albertolli) concluse di esaminare gli elaborati nel 1844, emettendo un giudizio complessivamente negativo, e proponendo perciò la nomina di un solo architetto avente l’incarico di presentare un nuovo progetto.
Il primo atto ufficiale del Monumentale fu la delibera presa nella seduta del Consiglio comunale dell’11 luglio 1825, con la quale iniziarono gli studi per la fattibilità di un cimitero degno di rendere onore ai defunti sull’onda emozionale suscitata nella popolazione italiana dal carme del Foscolo, Dei Sepolcri, uscito per le stampe nell’aprile del 1807 con l’epigrafe “Deorum Manium iura sancta sunto”. Il Foscolo si inseriva, polemicamente, nel dibattito nato in seguito all’editto napoleonico detto di Saint Cloud, applicato in Italia dal 5 settembre 1806, col quale si imponeva che i cadaveri fossero sepolti soltanto nei cimiteri e che non si facesse alcuna distinzione tra defunti comuni o famosi. Le sepolture dovevano essere anonime e la collocazione delle lapidi era relegata ai margini dei cimiteri. Foscolo, che pur condivideva molti aspetti dei presupposti culturali dai quali nascevano simili provvedimenti, ne rifiutava però l'effetto di omologazione che ricadeva sui defunti e sui valori del passato riconoscibili in essi.
Purtroppo, date le ristrettezza delle finanze comunali, solamente nel 1829 si giunse finalmente alla volontà concreta di realizzare un nuovo (e unico) cimitero al servizio dell’intera città di Milano. Trascorse tuttavia un altro decennio costellato di delibere, acquisti di terreni, intoppi burocratici governativi, fino a quando la situazione parve sbloccarsi nel 1838 con la pubblicazione di un apposito bando di concorso per la presentazione di un progetto avente lo scopo di erigere un cimitero monumentale occupante un’area di 55.200 mq comportante una spesa non eccedente il milione e trecentomila lire.
La commissione esaminatrice, presieduta dal podestà Gabrio Casati, e composta da otto membri tra architetti, ingegneri e consiglieri comunali (ricordiamo solo il Canonica e l’Albertolli) concluse di esaminare gli elaborati nel 1844, emettendo un giudizio complessivamente negativo, e proponendo perciò la nomina di un solo architetto avente l’incarico di presentare un nuovo progetto.
Fu così predisposta dal Consiglio comunale una rosa di tre architetti, e su tutti si impose (benché più oneroso per le pubbliche finanze) l’elaborato dall’architetto Giulio Aluisetti, formatosi a Brera, già conosciuto ed apprezzato a Milano per il progetto dell’ospedale Fatebenesorelle e per gli interventi in San Simpliciano.
Purtroppo la burocrazia dilatò le tempistiche per la scelta e l’acquisto dell’area (inizialmente individuata nei terreni delle cascine Abbadesse), i moti del ’48 sospesero il tutto, e la morte prematura dell’Aluisetti avvenuta nel 1851 archiviò definitivamente la realizzazione del progetto.
Purtroppo la burocrazia dilatò le tempistiche per la scelta e l’acquisto dell’area (inizialmente individuata nei terreni delle cascine Abbadesse), i moti del ’48 sospesero il tutto, e la morte prematura dell’Aluisetti avvenuta nel 1851 archiviò definitivamente la realizzazione del progetto.
La situazione parve sbloccarsi nel 1857, quando l’incarico di seguire i lavori fu affidato all’architetto Giuseppe Pestagalli (che maggior fortuna avrebbe avuto più tardi, con il progetto del teatro Dal Verme).
Scelta l’area nella zona dei Corpi Santi ubicata dietro porta Tenaglia, il tutto ebbe un nuovo arresto dovuto questa volta ai moti unitari, e solo ad Italia fatta si ricominciò a parlare del Monumentale.
La seduta consigliare del 25 luglio 1860, valutata l’opportunità di abbandonare ogni progetto in corso, decise per un nuovo bando di concorso, affidato alla Commissione esaminatrice presieduta dal sindaco Beretta.
Dopo un paio di selezioni volte a scremare la rosa iniziale dei ventotto partecipanti, finalmente fu giudicato come migliore il progetto dell’architetto Carlo Francesco Maciachini.
Questi, nato da semplice famiglia varesotta, aveva conseguito la laurea in architettura presso l’accademia di Brera. Tra gli altri suoi interventi, possiamo ricordare il restauro delle facciate delle chiese di San Marco, San Simpliciano, Santa Maria del Carmine.
Un ultimo intoppo a causa della zona prescelta: il consigliere comunale avvocato Mosca paventò per quella zona un probabile sviluppo cittadino e ferroviario. La Commissione Consigliare incaricata di dar risposta alle rimostranze del Mosca stabilì (alla fine delle opportune verifiche), in data 28 novembre 1863, che era alquanto improbabile un ulteriore sviluppo cittadino oltre la linea ferroviaria, di fatto autorizzando la Giunta comunale all’acquisto delle aree preposte all’erigendo cimitero.
Si iniziarono gli acquisti dai privati, al fine di ottenere tutti i terreni necessari a formare la metratura progettata fuori porta Tenaglia, fino ad arrivare all’estensione, appunto, di 172.000 mq.
Le opere iniziarono nel 1863, compresa la realizzazione di un viale alberato che conducesse al nuovo camposanto (attuale viale Ceresio).
Lo stile eclettico che ne risultò fu definito da alcuni “stile lombardo moderno”, anche se l’utilizzo di marmi e materiali di diversi colori, e soprattutto l’effetto di bicromia bianco-nera, portò anche a definirlo di “tradizione medievale”.
Scelta l’area nella zona dei Corpi Santi ubicata dietro porta Tenaglia, il tutto ebbe un nuovo arresto dovuto questa volta ai moti unitari, e solo ad Italia fatta si ricominciò a parlare del Monumentale.
La seduta consigliare del 25 luglio 1860, valutata l’opportunità di abbandonare ogni progetto in corso, decise per un nuovo bando di concorso, affidato alla Commissione esaminatrice presieduta dal sindaco Beretta.
Dopo un paio di selezioni volte a scremare la rosa iniziale dei ventotto partecipanti, finalmente fu giudicato come migliore il progetto dell’architetto Carlo Francesco Maciachini.
Questi, nato da semplice famiglia varesotta, aveva conseguito la laurea in architettura presso l’accademia di Brera. Tra gli altri suoi interventi, possiamo ricordare il restauro delle facciate delle chiese di San Marco, San Simpliciano, Santa Maria del Carmine.
Un ultimo intoppo a causa della zona prescelta: il consigliere comunale avvocato Mosca paventò per quella zona un probabile sviluppo cittadino e ferroviario. La Commissione Consigliare incaricata di dar risposta alle rimostranze del Mosca stabilì (alla fine delle opportune verifiche), in data 28 novembre 1863, che era alquanto improbabile un ulteriore sviluppo cittadino oltre la linea ferroviaria, di fatto autorizzando la Giunta comunale all’acquisto delle aree preposte all’erigendo cimitero.
Si iniziarono gli acquisti dai privati, al fine di ottenere tutti i terreni necessari a formare la metratura progettata fuori porta Tenaglia, fino ad arrivare all’estensione, appunto, di 172.000 mq.
Le opere iniziarono nel 1863, compresa la realizzazione di un viale alberato che conducesse al nuovo camposanto (attuale viale Ceresio).
Lo stile eclettico che ne risultò fu definito da alcuni “stile lombardo moderno”, anche se l’utilizzo di marmi e materiali di diversi colori, e soprattutto l’effetto di bicromia bianco-nera, portò anche a definirlo di “tradizione medievale”.
Il cimitero fu benedetto da Monsignor Calvi, e ufficialmente aperto il 2 novembre 1866 con la tumulazione simbolica del primo defunto, traslato dal soppresso cimitero di Porta Magenta.
L’area crebbe poi con il tempo, a seconda delle esigenze e dei fondi mano a mano disponibili. Vennero in seguito creati anche ossari per i defunti riesumati dai vari cimiteri soppressi.
Nel 1869 nacque l’idea di creare al suo interno un campo riservato ad onorare i milanesi illustri: il famedio, inaugurato il 5 giugno 1887. Questo risulta avere pianta a croce greca con una cupola ottagonale, e il luogo ben presto si arricchì di monumenti funerari realizzati da architetti ed artisti di alto livello. Tra i tantissimi che vi lavorarono negli anni e vi lasciarono un’impronta, ricordiamo: Giannino Castiglioni, Medardo Rosso, Odoardo Tabacchi, Antonio Tantardini, Leonardo Bistolfi, Giuseppe Grandi, Francesco Messina, Luca Beltrami, Paolo Cesa Bianchi, Giacomo Manzù, Giovanni Brogli, Arnoldo e Giò Pomodoro.
Nel 1876, per desiderio ed elargizione dell’industriale Alberto Keller, venne realizzata una moderna costruzione, il Tempio crematorio, per la cremazione dei defunti, una delle prime in Europa. Il nuovo forno fu inaugurato proprio con la cremazione delle spoglie del suo mecenate. Nel 1878 venne dedicata un’area per la raccolta delle urne cinerarie. L'impianto fui poi trasformato secondo il nuovo sistema inventato da Paolo Gorini. Attualmente i forni sono in disuso da parecchi decenni.
Si veda per approfondimenti l'articolo dedicato al Tempio crematorio (clicca qui).
Nei primi trent’anni di apertura, il cimitero accolse 74.740 defunti.
Cimitero maggiore di Musocco
Sul finire dell’Ottocento, appurato che il Monumentale era
del tutto insufficiente alla bisogna di una grande città in forte espansione
territoriale e demografica, e non potendosi tollerare la continua attività dei
cimiteri urbani già menzionati ormai saturi ed inglobati dai nuovi quartieri,
si decise di edificare un altro cimitero, in zona periferica, dalle parti della
certosa di Garegnano presso l’abitato di Musocco.
Avanzate da alcuni rimostranze circa la scelta dell’aerea,
la Giunta, pressata dalla situazione igienico-sanitaria al limite del collasso,
prescrisse che si facessero carotaggi di terreno praticamente in ogni zona
dell’estrema periferia cittadina, compresa la brughiera di Senago e i boschi di
Somma Lombardo!
Era necessario valutare la profondità della falda acquifera
e la possibilità o meno che i terreni si trasformassero in acquitrini in casi
di stagioni molto piovose. Lo studio non fece altro che ribadire la bontà della
conformazione del territorio di Musocco ed Uniti: terreno asciutto, di natura
calcareo-siliceo, quattro metri sopra le sorgenti, idoneo all’assimilazione
delle decomposizioni organiche.
Si aprì la questione, non secondaria, dell’opportunità di
avere un nuovo unico enorme cimitero, o di averne alcuni di dimensioni più
modeste. Fu la commissione d’igiene a spingere per la realizzazione di un unico
camposanto. Superati infine alcuni intoppi amministrativi legati al fatto che
si doveva costruire il cimitero di Milano in un altro comune (appunto,
Musocco), si iniziò a sterrare una superficie di 400.000 mq posta a 750 metri
da Musocco e a 4.600 dal Monumentale, al quale fu unito da apposito viale.
Il progetto architettonico fu affidato agli ingegneri Luigi Mazzocchi e Enrico Brotti.
Il progetto architettonico fu affidato agli ingegneri Luigi Mazzocchi e Enrico Brotti.
Le inumazione poterono iniziare il 23 ottobre 1895, e l'inaugurazione ufficiale con benediazione dell'arcivescovo un paio di mesi più tardi.
Per
agevolare i trasporti delle bare e dei parenti al seguito venne istituito anche un apposito tram funebre, che seguiva un circuito prestabilito. Vedi l'articolo sul tram funebre.
Importanti lavori per estenderne la superficie vennero poi compiuti durante il ventennio fascista (fino a farlo diventare il terzo cimitero più grande d'Italia, con i suoi 68 ettari di estensione).
Importanti lavori per estenderne la superficie vennero poi compiuti durante il ventennio fascista (fino a farlo diventare il terzo cimitero più grande d'Italia, con i suoi 68 ettari di estensione).
Bibliografia
Tedeschi C., Origini e vicende dei cimiteri di Milano, 1899
Canosa R., La vita quotidiana a Milano in età spagnola, 1996
Biagetti V., L’ospedale maggiore di Milano, 1937
Ottani G., L’abbazia di Chiaravalle milanese, 1937
Canosa R., La vita quotidiana a Milano in età spagnola, 1996
Biagetti V., L’ospedale maggiore di Milano, 1937
Ottani G., L’abbazia di Chiaravalle milanese, 1937
mauro colombo
ottobre 2006
ottobre 2006
ultima modifica: gennaio 2020
maurocolombomilano@virgilio.it
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