La storia di Milano, i suoi luoghi, i suoi personaggi. Un blog di Mauro Colombo

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giovedì 26 gennaio 2017

Il nudo censurato nel palazzo BCI del Portaluppi

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Nel 1927 furono approvati i progetti urbanistici per collegare agevolmente, secondo i dettami in voga all'epoca, piazza della Scala a corso Venezia: si vennero così a creare ben presto sia la nuova piazza Crispi (oggi Meda), sia il corso Littorio (oggi Matteotti). 
Gli sventramenti e le demolizioni necessari per tale rivoluzione toccarono anche piazza san Babila, che pagò un alto prezzo in termini di patrimonio storico, come del resto tutta la zona interessata.

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Negli immensi spazi così creati dall'ideale fascista di ordine, pulizia e maestosità, si sfogò la megalomania delle banche, che fecero innalzare le loro imponenti sedi: in piazza Crispi, la Banca Popolare di Milano si affidò al progetto di Giovanni Greppi, mentre al Portaluppi la Banca Commerciale italiana (che già aveva nel decennio precedente imposto la sua presenza in piazza Scala grazie al Beltrami) affidò la costruzione dell'edificio da erigersi proprio accanto al palazzo degli Omenoni, in via Case Rotte.

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Il progetto del Portaluppi (che contestualmente si dedicò anche al restauro dello stesso palazzo degli Omenoni, adottando decisioni alquanto discutibili soprattutto per la ripartizione degli interni) prevedeva un massiccio corpo di fabbrica con colonne e una torre rappresentativa.

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Nel 1930 l'edificio risultava ormai completato, grazie alla celerità della "società anonima Ferraresi e Gandini costruzioni edili Milano", come testimoniano le foto dell'epoca e soprattutto la data che era incisa alla base della torre, esattamente sul bordo di una piccola fontana ornamentale (MCMXXX - IX: 1930, 9° anno dell'era fascista).
BCI commerciale banca portaluppi omenoni case rotteQuasi all'altezza del primo piano della torre, esisteva una nicchia con un altorilievo raffigurante una figura femminile nuda. La trovata del Portaluppi non ebbe largo apprezzamento, e al montare delle proteste di benpensanti e puritani, scattò la censura. Si dovette così rimettere mano alla base della torre, e dopo il 1931 nicchia e donna nuda vennero rimosse.
La scultura venne riposizionata all'interno del cortile, in modo che il corpo nudo risultasse visibile solo ai frequentatori del palazzo e non più ai passanti. La fontana venne rimossa in data successiva, forse perchè danneggiata.
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Mauro Colombo
gennaio 2017
maurocolombomilano@virgilio.it


venerdì 20 gennaio 2017

La tragica morte dell'arch. Alfredo Campanini

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Alfredo Campanini (1873-1926),  nato in provincia di Reggio Emilia ma presto trasferitosi a Milano, si laureò in architettura, presso l'accademia di Brera, nel 1896 (allievo di Camillo Boito).
Già nel 1900 vince il concorso pubblico per la progettazione del padiglione delle Poste e Telegrafi da realizzarsi per l'Esposizione universale di Milano del 1906.
 Ben presto si afferma in città per le sue capacità di impresario edile e progettista, coniugando così, nella sua professione, gli aspetti pratici a quelli artistici.

bellini campanini libertybellini campanini liberty milanoDalla sua fantasia nascono alcune delle più pregevoli costruzioni liberty milanesi: la casa di via Bellini n. 11, con decorazioni plastiche all'esterno e le imponenti  statue femminili in cemento all'ingresso, la casa di via Pisacane n. 12, la casa in via Senato n. 28, con facciata in pietra e l'ultimo piano in ceramica, l'istituto S. Vincenzo, in via Copernico n. 1 (questo in stile neoromanico).
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copernico campanini
Quasi sicuramente è sua la realizzazione (coeva al restauro del castello ivi presente) del caratteristico borgo neoromanico di Grazzano Visconti, presso Piacenza, su committenza di Giuseppe Visconti di Modrone.

campanini grazzano visconti

Fuori città, ricordo la bellissima villa Bernasconi a Cernobbio.
Gli anni successivi alla prima guerra mondiale si rivelano meno artistici e più pratici, dedicandosi il Campanini alla costruzione di edifici per abitazioni medio borghesi, senza più quell'impronta che aveva caratterizzato i primi anni di attività.
umbria camapnini morteE fu proprio durante la costruzione di un condominio in viale Umbria che l'architetto, appena cinquantatreenne, trovò la morte, inaspettata e tragica. Una morte del tutto simile a quella di un altro architetto tanto caro ai milanesi, anch'esso dell'Emilia Romagna, Giuseppe Mengoni, il padre della Galleria (1829-1877): una caduta da un'impalcatura di cantiere.

Le cronache dell'epoca ci raccontano che il 9 febbraio del 1926, Campanini era impegnato a verificare le fasi costruttive  dell'edificio (tutt'ora esistente) che stava sorgendo in viale Umbria 76. In tale edificio si sarebbero dovute trasferire le famiglie sfrattate dalle stamberghe di piazza Vetra, della quale l'architetto stava appunto curando la riqualificazione.
Mentre si trovava su un'impalcatura con il giovane carpentiere Ernesto Brusa, comasco, di anni 26, alle 17.10 collassava di colpo l'ala del palazzo alla quale l'impalcatura stessa era ancorata.
I due poveretti precipitarono al suolo, ma mentre il giovanotto se la cavò con leggere conseguenze, il Campanini rimase a lungo intrappolato sotto le macerie, da dove, con flebile voce, tentava di istruire i soccorritori affinchè lo liberassero. Giunsero sul posto "due carri dei pompieri dotati di lampade all'acetilene". Fu infine estratto, ma come scrisse il Corriere della Sera: "il volto apparve irriconoscibile, e in tutto il corpo erano ferite, fratture e lacerazioni. Lo sventurato con gli abiti a brandelli venne pietosamente deposto su una lettiga che si avviò veloce verso l'Ospedale Maggiore".
Il Campanini esalò l'ultimo respiro nel padiglione dell'accettazione.
Si appurò che l'ala crollata poggiava su fondamenta non solide, compromesse dagli allagamenti che in quei giorni si erano verificati per colpa della vicinissima roggia Gerenzana (che correva lungo la via Anfossi).
Forse fu dunque una fatalità, più che un errore progettuale, quello che costò la vita al famoso architetto del liberty milanese, vero artista che oggi riposa al Cimitero Monumentale.

Mauro Colombo
gennaio 2017
ultimo aggiornamento: maggio 2017
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domenica 8 gennaio 2017

Luigia Battistotti Sassi eroina delle Cinque Giornate


luigia battistotti sassi cinque giornate milano 1848

Nel panorama risorgimentale italiano, e nel nostro caso, milanese, vi è una figura femminile che si distinse sia per il piglio battagliero, sia per aver rappresentato un nuovo modello di donna, attiva e protagonista.
Luigia (o Luisa) Battistotti, vera icona femminile delle cinque giornate milanesi del 1848, era nata vicino a Pavia nel 1824, e si era poi trasferita a Milano per sposare un commerciante che qui aveva bottega, che di cognome, appunto, faceva Sassi.
Donna risoluta e indipendente, era per l'epoca all'avanguardia rispetto alle sue sue concittadine, abituate ad avere un ruolo più marginale,  sempre subordinato a quello dei mariti e dei padri.

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Fin dall'inizio dell'insurrezione antiaustriaca, scese in strada con il proposito di partecipare attivamente alla battaglia. Nella confusione delle prime ore di insurrezione, prima ancora dell'erezione delle barricate, la nostra individuò un drappello di austriaci, strappò le pistole ad un soldato, e ordinò agli altri cinque di arrendersi. Consegnati poi i prigionieri ad un gruppo di Finanzieri (che ricordiamo erano schierati a favore del popolo insorto), dismise gli abiti femminili per organizzare la prima barricata, quella di Borgo Santa Croce.
Accanto ai moltissimi milanesi in armi, la sua figura entrò nella storia e nella leggenda, insieme a quella di tanti altri cittadini comuni che vollero avere un ruolo attivo nella cacciata dell'invasore (tra i quali ricordiamo l'Anfossi, Pasquale Sottocorno o il lattivendolo Meschia).
Il neonato Governo Provvisorio, che prese il potere non appena l'ultimo soldato invasore lasciò la città, le attribuì i giusti meriti: non solo la invitò in Duomo durante il Te Deum di ringraziamento per la vittoria, ma le riconobbe altresì un vitalizio.
luigia battistotti sassi cinque giornate milano 1848Di lei abbiamo anche un ritratto, quello tramandatoci da una incisione che veniva venduta per le strade nei giorni successivi, a testimonianza di quanto fosse ormai popolare. Qualche anno dopo entra persino tra le pagine di un romanzo, "La trovatella di Milano" di Carolina Invernizio.
La Battistotti ovviamente dovette abbandonare la città non appena gli Austrici rientrarono a Milano. 
Sappiamo che nel 1849 tentò di rifarsi una vita oltreoceano, sbarcando negli Stati Uniti, dove morì nel 1876.


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Mauro Colombo
gennaio 2017
maurocolombomilano@virgilio.it