Antefatto storico: la battaglia di Ravenna
Gaston de Foix, duca di Nemours, conte d’Etampes e
viceconte
di Narbonne, comandante dell’armata reale in Italia, nacque a Mazeres il
10
dicembre 1489 da Jean de Foix e da Maria d’Orleans, una delle sorelle
del re
Luigi XII. Il 25 giugno 1511 fu nominato governatore di Milano. A soli
ventitrè
anni, dopo aver condotto il proprio esercito alla vittoria, trovò
inaspettatamente la morte mentre dava l’inseguimento ad alcuni nemici in
fuga al termine di una della battaglie campali più cruente e sanguinose
mai
avvenute, passata alla storia come la battaglia di Ravenna.
Come raccontano le cronache, nelle campagne attorno
alla
città, in una zona detta oggi Molinaccio (presso S.Bartolo), alle ore 8
del
giorno 11 aprile 1512, Pasqua di Resurrezione, ebbe inizio lo scontro
tra
l’esercito francese e le truppe pontificie della Lega Santa, formata da
veneziani, spagnoli, napoletani, e da un numero imprecisato di
mercenari. Complessivamente si batterono 62.100 soldati: 34.700 della
Lega Santa contro 27.400 franco-tedeschi.
Nella battaglia, proseguita per circa 8 ore, persero la vita
molte migliaia di soldati; le stime oscillano dai 5.000 ai 21.000 morti. La Lega Santa si era trincerata dietro ad un poderoso
fossato, scavato tutt’attorno alla zona dominata da un mulino (l’odierno
Molinaccio) che divenne il quartier generale delle truppe papaline. La trincea
così predisposta aveva un solo varco di circa tredici metri, secondo i progetti
militari ideato per far uscire, al momento opportuno, la cavalleria che avrebbe
attaccato i francesi che assediavano il campo.
Da quel varco, invece, entrò l’esercito francese guidato da Gaston de Foix, il quale con questa mossa trovò la vittoria ma anche, poco dopo, la morte.
Da quel varco, invece, entrò l’esercito francese guidato da Gaston de Foix, il quale con questa mossa trovò la vittoria ma anche, poco dopo, la morte.
A ricordo della battaglia venne eretta, 45 anni dopo (quindi
nel 1557) una colonna commemorativa detta “dei francesi”, che narra del
sacrifico di 20.000 soldati francesi e spagnoli. Da più parti si sostiene che
il punto originario di posa del monumento coinciderebbe con quello ove trovò la
morte proprio il de Foix.
A tre giorni dallo scontro, il corpo del giovane duca,
scortato da un gran numero di compatrioti, molti dei quali reggevano stendardi
strappati alle truppe sconfitte della Lega Santa, fu portato a Bologna per la
celebrazione di un solenne rito funebre.
Successivamente, il mesto corteo con la salma dell’eroe francese partì verso Nord, e il 25 aprile entrò a Milano. In Duomo venne officiato un ulteriore rito funebre, al termine del quale il corpo fu appeso tra due pilastri della cattedrale, secondo l’usanza riservata ai duchi milanesi.
Successivamente, il mesto corteo con la salma dell’eroe francese partì verso Nord, e il 25 aprile entrò a Milano. In Duomo venne officiato un ulteriore rito funebre, al termine del quale il corpo fu appeso tra due pilastri della cattedrale, secondo l’usanza riservata ai duchi milanesi.
La vittoria francese tuttavia si stemperò ben presto davanti
all’arrivo di nuove e fresche truppe svizzere, la cui temuta forza spinse Gian
Giacomo Trivulzio a condurre fuori città l’esercito francese, per ritirarsi a
Pavia.
Il 20 giugno 1512 Milano aprì così le porte alle truppe papaline guidate da Ottaviano Sforza, che prese la città in nome di Massimiliano Sforza (che però arriverà solo a dicembre, assieme al suo burattinaio, Matteo Scheiner cardinale di Sion). In estate, per spregio verso i pochi francesi rimasti e arroccati in castello, gli svizzeri profanarono la tomba di Gaston de Foix e ne gettarono i resti mortali sui bastioni. Solo l’arrivo del cardinale di Sion permetterà al corpo del duca di tornare in Duomo.
Il 20 giugno 1512 Milano aprì così le porte alle truppe papaline guidate da Ottaviano Sforza, che prese la città in nome di Massimiliano Sforza (che però arriverà solo a dicembre, assieme al suo burattinaio, Matteo Scheiner cardinale di Sion). In estate, per spregio verso i pochi francesi rimasti e arroccati in castello, gli svizzeri profanarono la tomba di Gaston de Foix e ne gettarono i resti mortali sui bastioni. Solo l’arrivo del cardinale di Sion permetterà al corpo del duca di tornare in Duomo.
Successivamente i francesi, riorganizzatisi, affrontarono e
batterono gli svizzeri nella battaglia di Marignano (13-14 settembre 1515). Il
nuovo re di Francia, Francesco I, succeduto a Luigi XII, entrò solennemente in
città l’11 ottobre 1515.
Un monumento funebre per l’eroe francese
Rientrati a Milano i francesi, nel corso dell’anno
successivo venne decisa l’erezione di un monumento funebre da dedicare al
valoroso combattente tragicamente morto in battaglia, non solo per rendere
omaggio ad un importante membro di casa reale, ma anche per consolidare,
davanti ai milanesi, un potere che ora appariva alquanto rafforzato.
La volontà di donare alle spoglie di Gaston un degno
monumento fu dello stesso re di Francia, Francesco I, che prima di rientrare in
patria nel gennaio del 1516 (quando ormai la situazione gli appariva tranquilla
e saldamente nelle sue mani) diede disposizioni in merito, lasciando che alla
fase pratica e organizzativa ci pensasse Odet de Foix, signore di Lautrec (cugino di Gaston de Foix) che sarebbe rimasto a
Milano quale successore nel governo del ducato (e che sarà anche ricordato per
essere stato uno dei peggiori governatori della città: brutale, dispotico,
violento, avido di denaro).
Si può anche sostenere che forse l’idea del monumento fosse
di Odet, ma non c’è dubbio che l’ordine e soprattutto i fondi necessari
provenissero dal re. Non si sa con precisione quando e per quale ragione il
lavoro venne commissionato al Bambaia, l’unica certezza è che a lui si affidò
l’intero progetto, la supervisione e la realizzazione in piena autonomia, senza
che al progetto partecipassero altri artisti dell’epoca, se non in veste di
aiutanti e collaboratori.
Agostino Busti, il Bambaia: cenni biografici
Ma chi era nel 1516 Agostino Busti, detto Bambaia, per essere scelto quale
artefice di un così importante monumento funebre, voluto dallo stesso re di
Francia, e pensato per celebrare indirettamente la potenza francese?
La sua data di nascita si può fissare nel 1483, sulla base
di un necrologio conservato all’Archivio di Stato di Milano che lo dice morto
l’11 giugno 1548 all’età di sessantacinque anni.
La prima notizia è del gennaio 1512, quando insieme al fratello Polidoro chiese di essere assunto tra gli scultori del Duomo. A quella data l’artista era quasi trentenne e il suo tirocinio, forse avvenuto sotto la guida di Benedetto Briosco, doveva essersi concluso da tempo.
La prima notizia è del gennaio 1512, quando insieme al fratello Polidoro chiese di essere assunto tra gli scultori del Duomo. A quella data l’artista era quasi trentenne e il suo tirocinio, forse avvenuto sotto la guida di Benedetto Briosco, doveva essersi concluso da tempo.
Del 1516 è il contratto per l’esecuzione della
tomba di Francesco Orsini e della moglie Caterina Birago (oggi smembrata
e divisa tra il Museo del
Castello Sforzesco, il Centro San Fedele e Palazzo Pitti), finita e
pagata l’anno
successivo; di poco precedente il monumento di Lancino Curzio (Museo
d’Arte
Antica del Castello Sforzesco).
Con buona probabilità, fu tra gli artisti lombardi che il 24
settembre 1513 partirono per accompagnare Leonardo alla volta di Roma. Infatti,
nell’elenco stilato dal grande Da Vinci dei personaggi che lo seguirono nella
trasferta risulta un certo Fanfoia, nome misterioso che non identifica nessun
artista conosciuto ma che presenta intriganti similitudini fonetiche con il
soprannome Bambaia, tanto più se si pensa alla stravaganza del Leonardo anche
in fatto di scrittura. A riprova del viaggio, nel 1521 il Cesariano include il
Bambaia tra gli artisti scesi a Roma in viaggio di istruzione. Esiste inoltre
un taccuino sicuramente appartenuto al Bambaia e datato 1514 in cui l’artista
scrisse le sue impressioni e tracciò schizzi relativi alle antichità classiche
presenti nelle città eterna.
Se a noi dunque potrebbe apparire non molto titolato quando
venne scelto per il monumento a Gaston de Foix, è bene sottolineare che
probabilmente il Busti aveva lavorato ad opere che non conosciamo e che non
sono giunte a noi, e che avevano ben deposto a suo favore allorchè gli fu
appaltata l’opera.
Successivamente al monumento de Foix, sappiamo che il
Bambaia lavorò (intorno al 1522) per il monumento dedicato da Maffiolo Birago
ai fratelli Gian Marco e Zenone: altra opera di grande impegno portata a
termine per la cappella Birago in san Francesco Grande, ma poi rimossa e
smembrata tra varie collezioni.
Dopo questa data i documenti registrano la commissione al Bambaia di un sepolcro nella chiesa di Santa Marta: dedicato a Giovanni Antonio Bellotti, morto nel 1528, fu anch’esso smantellato e disperso.
Dopo questa data i documenti registrano la commissione al Bambaia di un sepolcro nella chiesa di Santa Marta: dedicato a Giovanni Antonio Bellotti, morto nel 1528, fu anch’esso smantellato e disperso.
Dal 1535 il nome del Busti compare regolarmente nelle carte
dell’archivio del Duomo di Milano, per opere non sempre identificabili. Certa è
la sua partecipazione alle sculture dell’Altare della Presentazione (1543) e
all’esecuzione delle lapide dedicata al canonico Vimercati. Meno sicura la
totale autografia del monumento a Marino Caracciolo (morto nel 1538), per il
quale si ipotizza un intervento, soprattutto nella parte architettonica, di
Cristoforo Lombardo.
Fra le numerose opere a lui attribuite si ricorda il
monumento di Mercurio Bua oggi nella chiesa di Santa Maria Maggiore a Treviso,
che si identifica con quello che l’artista aveva in lavorazione per il musico
Franchino Gaffurio, asportato da Pavia nel 1527 dallo stesso Bua come bottino
di guerra.
Il luogo prescelto: Santa Marta
Come narrano le
cronache del monastero di Santa Marta, il corpo del de Foix fu trasportato
presso l’annessa chiesa il 9 febbraio 1516, per volere del Lautrec, affinchè si
rivolgesse all’eroico comandante la dovuta venerazione.
La chiesa di Santa Marta delle monache agostiniane era
posizionata dove oggi si apre piazza Mentana, o come scriveva il Latuada
“Tenendo la strada additata dal muro laterale di S. Maria al cerchio si entra
per angusto vicolo, il quale conduce alla chiesa, ed insigne monastero”.
Sempre prendendo come cicerone il Latuada, sappiamo che il chiostro ebbe origine nel 1345, anno in cui tale Simona da Casale, per dedicare la sua vita a Dio, radunò nella propria casa vicino ad una piccola cappella dedicata a Santa Marta altre compagne devote. Successivamente questa congregazione abbracciò la regola agostiniana, sotto la guida spirituale di Margherita Lambertenghi.
Sempre prendendo come cicerone il Latuada, sappiamo che il chiostro ebbe origine nel 1345, anno in cui tale Simona da Casale, per dedicare la sua vita a Dio, radunò nella propria casa vicino ad una piccola cappella dedicata a Santa Marta altre compagne devote. Successivamente questa congregazione abbracciò la regola agostiniana, sotto la guida spirituale di Margherita Lambertenghi.
Col tempo il monastero e la chiesa crebbero di estensione ed
importanza, e persino Ludovico il Moro, con la consorte Beatrice d’Este “più
volte vi si trasferiva per godere di quella religiosa conferenza, ed in
particolare per abboccarsi con la Venerabile Serva di Dio Veronica Negroni da
Binasco laica, che fioriva in que’tempi con fama di virtuose azioni, e
tantissimi esempi”.
La scelta di questa
chiesa fu dettata dal fatto che all’epoca la prioressa del monastero era
Arcangela Panigarola, la quale intratteneva stretti legami con
importanti prelati francesi e particolarmente con Denis Brionnet, vescovo di
Saint Malo e Toulon, figlio spirituale della Panigarola stessa.
Verso la fine della primavera del 1517 venne assegnata la
cappella ove si intendeva tumulare il corpo e si cominciarono a celebrare delle
messe.
La prima notizia circa il lavoro di costruzione del
monumento ad opera del Busti è del 2 ottobre del 1517, quando Arcangela
Panigarola scrisse a Denis Brionnet: “...e
così sona contenta che Vostra Signoria me consegliasse como debia fare de cento
e vinti schudi, qualli lassò Monsignore Reverendissimo de Lodeva per comenzare
a fornire la capella della Madona, la qualle cossa non se possuto fare per ché
Monsignore Lautrec non vole movere el corpo de Foys fini che non habio fata la
sua capella, con una archa molto superba”.
Sembrerebbe dunque che il corpo del de Foix fosse stato
temporaneamente interrato nella cappella dedicata della Madonna, in attesa di
essere trasferito nel monumento destinato a riceverlo, monumento il cui esatto
posizionamento non ci è stato tramandato.
La decorazione della cappella della Madonna fu
presumibilmente affidata a Bernardino Luini e fu per lo meno parzialmente
finanziata da Guillaume Brionnet, come ricorda la lettera di Arcangela
Panigarola. La cappella era destinata ad ospitare non solo i resti del de Foix
(temporaneamente), ma anche “del Signor
Rugiero Barono de la Borgogna Francese, il qual era parente del quondam
illustrissimo Signor de Foys, e il magnifico domino Pietro (non è
riportato alcun cognome) senatore di Milano qualle era Francese”.
Struttura ipotetica del monumento
Purtroppo non sono giunti a noi i disegni progettuali del
monumento funebre tracciati dal Bambaia, se non alcuni schizzi che però non
sono unanimamente attribuibili a questa precisa committenza, quanto piuttosto
ad altri progetti di monumenti funebri che il Bambaia aveva ideato.
Se consideriamo poi, come meglio vedremo di seguito, che
l’opera non solo non venne mai terminata, ma addirittura smembrata per quanto
riguarda le poche parti lavorate, il più grande dilemma che ancora oggi ruota
attorno all’opera dedicata al de Foix è come fosse intesa dall’artista la
struttura globale.
Innanzitutto per almeno tre secoli non fu neppure chiaro se
nella mente del Bambaia vi fosse l’idea di una tomba parietale (cioè da
assemblarsi appoggiandola ad una parete) oppure isolata (cioè portante e quindi
isolata nel mezzo di uno spazio dedicato).
All’epoca del Bambaia si andava registrando il passaggio dalla tomba parietale a quella isolata, secondo una nuova visione architettonica. Così, dopo i monumenti quattrocenteschi a parete quali i famosi dedicati al Brivio in Sant’Eustorgio o ai Della Torre in Santa Maria delle Grazie, alla fine degli anni ottanta dello stesso secolo si passò alle tombe isolate come quella di Giovanni Borromeo in San Francesco Grande, quasi a riprendere un tema tipicamente trecentesco, che aveva permesso la nascita della famosa statua equestre di Bernabò Visconti situata in posizione dominante nell’abside della chiesa di San Giovanni in Conca (collocazione che poi San Carlo Borromeo non volle tollerare a causa dell’eccessiva venerazione che i milanesi avevano cominciato a riservargli, e che quindi ordinò si spostasse in posizione defilata).
All’epoca del Bambaia si andava registrando il passaggio dalla tomba parietale a quella isolata, secondo una nuova visione architettonica. Così, dopo i monumenti quattrocenteschi a parete quali i famosi dedicati al Brivio in Sant’Eustorgio o ai Della Torre in Santa Maria delle Grazie, alla fine degli anni ottanta dello stesso secolo si passò alle tombe isolate come quella di Giovanni Borromeo in San Francesco Grande, quasi a riprendere un tema tipicamente trecentesco, che aveva permesso la nascita della famosa statua equestre di Bernabò Visconti situata in posizione dominante nell’abside della chiesa di San Giovanni in Conca (collocazione che poi San Carlo Borromeo non volle tollerare a causa dell’eccessiva venerazione che i milanesi avevano cominciato a riservargli, e che quindi ordinò si spostasse in posizione defilata).
La struttura del monumento isolato era quella tipica
dell’edicola a pilastri che racchiudeva in sè la figura del defunto in
posizione supina, ritratto nel momento delle esequie. L’esempio più illustre a Milano era il mausoleo Trivulzio,
come appare negli schizzi del Leonardo: una statua equestre del condottiero
sopra un basamento costituito da una edicola classica, sotto la quale si
collocava il sarcofago.
Le diverse mode dei monumenti parietali o isolati si
potevano registrare anche quali caratteristiche di certe città: a Venezia si
privilegiava il parietale (Pietro Lombardo, monumento al doge Pietro Mocenigo,
e Tullio Lombardo, monumento al doge Andrea Vendramin, entrambi nella chiesa di
San Giovanni e Paolo – S.Zanipolo, la chiesa dei funerali dei dogi). A Roma,
sotto la spinta riformatrice di Michelangelo, prevaleva il monumento isolato.
Per valutare a quale tipologia si fosse ispirato il Bambaia,
è doveroso valutare la committenza, nel nostro caso francese, e notare come le
due sepolture più vicine nel tempo a quella di Gaston de Foix fossero i
mausolei di Carlo VIII (poi distrutto durante la Rivoluzione ma ben conosciuto
grazie a precise incisioni giunte a noi) e di Luigi XII, entrambi di tipo
isolato, posti nell’abbazia di Saint-Denis. Quest’ultimo monumento, dedicato a
Luigi XII e alla moglie Anna di Bretagna, venne realizzato dai toscani Antonio
e Giovanni Giusti, ed ebbe inizio nel 1515, quindi poco prima di quando Bambaia
iniziasse quello per Gaston de Foix. I due lavori procedettero in parallelo e
mostrerebbero dunque non casuali coincidenze.
Accettando questa impostazione storica, è possibile ritenere
che il monumento da collocarsi in Santa Marta fosse dunque di tipo isolato, e
si sarebbe dovuto caratterizzare per un’edicola sotto la quale avrebbe trovato
posto la scultura del condottiero ritratto giacente sul lit de parade, con in
evidenza i segni del potere e del rango.
Nel periodo durante il quale il Bambaia, aiutato da valenti
scultori, si dedicava alla prestigiosa committenza, realizzò innanzitutto la
figura di Gaston de Foix, oltre a numerose formelle che rappresentavano scene
di battaglia e il momento della processione che conduce il corpo a Milano.
Vennero scolpite poi le figure degli apostoli, che avrebbero
(forse) dovuto essere poste attorno all’edicola. Vennero lavorati anche
numerosi fregi e pilastri. Tuttavia il Bambaia era ancora ben lontano dall’aver
completato tutti i pezzi marmorei che risultavano nella sua mente necessari per
cominciare ad innalzare il monumento, allorchè inaspettati mutamenti politici
fermarono il tutto.
L’abbandono dei lavori
Verosimilmente infatti l’attività si interruppe nel 1521,
per l’ulteriore peggioramento della già critica situazione francese. In estate
Lautrec, minacciato dai ribelli milanesi e in guerra con le forze papali, Carlo
V, il Marchese di Mantova e i fiorentini, fu costretto a vendere le sue
proprietà personali per pagare le guarnigioni: sicuramente quindi non era molto
preoccupato del destino che sarebbe toccato alla tomba di suo cugino.
Nell’ottobre del 1521 il Bambaia vendette sei
centenari di
marmo di Carrara alla fabbrica del Duomo. Questo materiale forse doveva
essere
usato per la tomba del de Foix: la sua vendita fa pensare che lo
scultore fosse
ormai consapevole dell’impossibilità di continuare il progetto in tempi
brevi. E difatti nel novembre 1521 i francesi furono cacciati da
Milano e il 4 aprile 1522 Francesco II Sforza, con l’appoggio della
truppe
imperiali e papali, entrò in trionfo in città. L’esercito
francese fu definitivamente sconfitto nella battaglia della Bicocca (27
aprile
1522).
Le armate reali occuparono ancora per breve tempo Milano
alla fine del 1524 (annata orribile, oltretutto, per un’epidemia di peste che
uccise all’incirca 80.000 milanesi), ma furono definitivamente sconfitte il 24
febbraio 1525 nella battaglia di Pavia. Francesco I cadde prigioniero nelle
mani degli Spagnoli, e Francesco II Sforza rientrò nuovamente a Milano
trionfatore: fu la fine del dominio francese, sarà l’inizio di quello spagnolo.
Tuttavia la situazione rimase estremamente instabile fino al 1529, anno in cui
Carlo V e Francesco I stipularono la pace.
Alla luce delle vicende politiche e militari appena
descritte, si può pensare che quegli elementi della tomba che furono
effettivamente eseguiti, furono scolpiti tra la metà del 1517 e la metà del
1521. Non si sa che sorte abbia avuto il marmo che si trovava nella bottega del
Bambaia nel 1528, ma si può supporre che o non sia stato lavorato affatto, o
che lo sia stato assai poco, perché altrimenti non avrebbe potuto servire ai
fabbricieri del Duomo a cui doveva essere lasciato in eredità.
È qui importante ricordare che il Bambaia accettò, sempre
per posizionarlo in Santa Marta, la commissione di realizzare un altro
monumento funebre, da dedicarsi all’ecclesiastico Giovanni Antonio Bellotti,
amico e consigliere della madre superiore Arcangela Panigarola. La sepoltura
avvenne il 27 ottobre 1528. Più tardi, a lavori già iniziati, il contratto fu
dichiarato nullo, la tomba smantellata e il corpo spostato.
Il mistero rimane legato a questo fatto: non sappiamo se il
Bambaia usò per la tomba del Bellotti qualche elemento in origine progettato
per il monumento de Foix, e neppure sappiamo, cosa assai importante, se in
seguito il Bambaia ritirò i pezzi lavorati, oppure anche in questo caso li
abbandonò in qualche spazio del monastero.
Non è ipotesi tanto inverosimile supporre che il Bambaia
riciclasse per la nuova opera qualche pezzo, ovviamente non raffigurante fatti
d’armi o personali del de Foix; avrebbe ben potuto sfruttare qualche altro
elemento architettonico neutro, come fregi e decorazioni floreali, tanto più
che nessuno lo avrebbe mai rimproverato, essendo Odet de Foix, l’unico
eventualmente interessato all’opera funebre abbandonata, morto nel luglio del
1528.
Quando il Vasari visitò Santa Marta prima del l550 vide
“molte figure grandi e finite, ed alcune mezze fatte ed abozzate, con assai
storie di mezzo rilievo in pezzi e non murate, e con moltissimi fogliami e
trofei”. In un altro passo delle Vite entrò nel dettaglio e scrisse: “Sono da
dieci storie di figure piccole, sculpite con molta diligenza, de’ fatti,
battaglie, vittorie et espugnazioni di terre fatte da quel signore, e
finalmente la morte e sepoltura sua: e per dirlo brevemente ell’è tale
quest’opera, che, mirandola con stupore, stetti un pezzo pensando se è
possibile che si facciano con mano e con ferri sì sottili e meravigliose opere,
veggendosi in questa sepoltura fatti con stupendissimo intaglio fregiature di
trofei, d’arme di tutte le sorti, carri, artiglierie, e molti altri instrumenti
di guerra, e finalmente il corpo di quel signore così morto, per le vittorie
avute. E certo è un peccato che quest’opera, la quale è degnissima di essere
annoverata fra le più stupende dell’arte, sia imperfetta, e lasciata stare per
terra in pezzi senza essere in alcun luogo murata”.
Dunque i pezzi del monumento, solo in parte finiti, erano
lasciati senza alcuna cura per terra. Non si sa in quale punto del monastero li
vide, probabilmente in qualche parte del chiostro dove i visitatori non erano
normalmente ammessi.
Smantellamento e prime dispersioni
Nel 1673, da un inventario dei beni situati nella villa
Arconati di Castellazzo (poco lungi da Bollate), sappiamo che alcune sculture
del monumento erano in possesso di questa nobile famiglia, e probabilmente tale
possesso era iniziato parecchi anni prima. Per la precisione, risultavano
custoditi in loco: sette rilievi, quattro dei quali larghi un braccio, gli
altri tre larghi due braccia; un rilievo lungo e stretto con trofei guerreschi,
due pilastrini scolpiti su tre lati.
Con buona probabilità i marmi Arconati furono comprati nello
stesso periodo in cui Flaminio Piatti comprò i due rilievi a trofei
successivamente donati all’Ambrosiana; dunque questa transazione deve aver
avuto luogo in un periodo di tempo che va dal momento in cui Vasari vide la
tomba e il 1613, l’anno della morte del Piatti, molto probabilmente tra il 1570
e il 1600.
In questo periodo infatti era madre superiore del convento
di Santa Marta Paola Maria Arconati (morta nel 1604), la quale convinse le
sorelle a disfarsi di tutte le opere di valore custodite nelle celle e nei
locali del monastero, al fine di ricavare il denaro necessario per ornare
adeguatamente l’altare. Non sappiamo a quale prezzo queste parti scolpite dal
Bambaia furono vendute dalla madre superiore ai propri parenti per addobbare la
residenza di Castellazzo. Non è neppure possibile sapere con esattezza quanti
altri frammenti del monumento furono venduti dalle suore alla fine del ‘500.
Certo è che nel 1674 non restava più alcun elemento
dell’opera presso Santa Marta, fatta eccezione per il pezzo più pregevole, la
scultura a figura intera di Gaston de Foix ritratto durante le esequie. Le
suore decisero dunque di far murare l’opera d’arte nel chiostro, in posizione
verticale (come se il morto fosse appoggiato alla parete, scelta alquanto
discutibile) e fecero collocare una lapide con la seguente dicitura:
SIMVLACRVM
GASTONIS FOXII
GALLICARVM COPIATRVM DVCTORIS
QUI IN RAVENNATE PRAELIO CECIDIT
ANNO MDXII
CVM IN AEDE MARTHAE RESTITVENDA
EIVS TVMVLVS DIRVTVS SIT
HVIVSCE COENOBII VIRGINES
AD TANTI DVCIS IMMORTALITATEM
HOC IN LOCO COLLOCANDVM
CVRAVERE
ANNO MDCLXXIV
GASTONIS FOXII
GALLICARVM COPIATRVM DVCTORIS
QUI IN RAVENNATE PRAELIO CECIDIT
ANNO MDXII
CVM IN AEDE MARTHAE RESTITVENDA
EIVS TVMVLVS DIRVTVS SIT
HVIVSCE COENOBII VIRGINES
AD TANTI DVCIS IMMORTALITATEM
HOC IN LOCO COLLOCANDVM
CVRAVERE
ANNO MDCLXXIV
Quando infatti il Latuada scrisse la sua Descrizione di
Milano (1738) visitando la chiesa e il monastero di Santa Marta parlò della
scultura in “riglievo” come l’unico pezzo rimasto in loco (“avanzato”) dal
“celebre mausoleo eretto alle ossa di questo duca con istatoe ed intagli (con
statue e sculture) in bianco marmo lavorato da Agostino Busti detto il Bambaja,
insigne Scultore, lodato da Giorgio Vasari e Giovanpaolo Lomazzo. Molte di
quelle statoe si ritrovano nella celebre Villa di Castellazzo del Sig. Conte
Arconati, ed altri bassi riglievi si conservano nella Galleria delle Sculture
annessa alla Bibblioteca Ambrosiana”. La descrizione si chiude con la
trascrizione delle parole della lapide che le monache avevano murato accanto
alla scultura.
Pochi anni dopo Marc’Antonio Dal Re, parlando della villa di
Castellazzo, descrive i marmi che vi erano custoditi, tra i quali spiccavano: “i famosi bassorilievi, altre volte
adornamento del sepolcro di Gastone di Foix, fanno vaga mostra, e piena fede
della rara dilicatezza dello scalpelo, che come molle cera ha impresso nel
marmo picciolissime figure disposte in forma di sanguinosa battaglia, ed in
lugubre apparato di morte, animali, fiori, cartelle, ed altri tali ornamenti,
da fare invidia alle rinomate greche sculture”.
Soppressione di Santa Marta
Il monastero di Santa Marta fu soppresso nel 1798 e pochi
anni dopo il ritratto di Gaston de Foix con relativa iscrizione fu
staccato dal muro e trasferito all’Accademia delle Belle Arti;
contemporaneamente altre sculture furono ritirate dal convento: un “profeta
Isaia” assiso seguì la stessa sorte della lastra, mentre altri quattro “profeti
o apostoli” del tutto simili, visti dal Bossi a Chiaravalle, provenivano
presumibilmente dalla chiesa.
I locali del monastero furono dal 1844 sede del Museo di
Storia Naturale (approfondisci), ma finirono con l’essere poi demoliti nel 1861, per fare posto
ad una piazza e alla costruzione del Regio istituto tecnico di Santa Marta, che
per qualche anno diede il nome allo slargo così ricavato. Con delibera del 13
settembre 1865 la piazza fu dedicata alla battaglia di Mentana, toponimo che
ancora oggi conserva. Nella piazza venne collocato nel 1880 il monumento del Belli
dedicato ai caduti di quella battaglia, e all’inaugurazione (il 3 novembre) si
presentò lo stesso Garibaldi.
Epilogo
Il pittore Giuseppe Bossi fu il primo a tentare un’analisi
approfondita dei vari pezzi del monumento de Foix e a proporre una
ricostruzione che non si basasse, come precedentemente qualcuno aveva
azzardato, sulla pura invenzione.
Nella sua opera dedicata al monumento (del 1852) elencò come probabili elementi della tomba:
sette rilievi narrativi, un rilievo a trofei lungo e stretto, due pilastrini,
sei figure assise di “apostoli, evangelisti o profeti” a Castellazzo, due
rilievi a trofei lunghi e stretti e un pilastrino all’Ambrosiana; il “profeta
Isaia” e la lastra tombale all’Accademia di Brera; quattro “profeti o apostoli”
all’Abbazia di Chiaravalle; due lesene, di cui una con la firma del Busti già
nella collezione Anguissola e da lui acquistate; inoltre certi putti già nella
collezione Monti.
Risulta immediatamente chiaro che numerosi nuovi pezzi si
venivano ad aggiungere a quelli citati dagli scrittori precedenti. La
collezione di Castellazzo, che nel 1822 era già passata alla famiglia Busca,
era stata arricchita di sei figure assise di “apostoli, evangelisti o profeti”,
acquistati qualche tempo dopo che il Dal Re aveva descritto gli arredi della
villa nel 1743, probabilmente al momento della soppressione di Santa Marta.
L’Ambrosiana aveva
acquistato un pilastrino delle medesime dimensioni di quelli conservati a
Castellazzo, e cinque sculture provenienti dal monastero di Santa Marta,
trascurate o forse del tutto ignote agli storici precedenti, erano giunte, una
all’Accademia, e le altre quattro a Chiaravalle. Infine, lo stesso Bossi aveva
comprato due pilastri decorativi.
Durante tutto il corso del XIX secolo il monumento a Gaston
de Foix suscitò un profondo interesse sia tra gli storici d’arte che tra i
collezionisti, interesse indubbiamente ispirato in parte dalla precisa
descrizione del Bossi e dalla sua intelligente proposta di ricostruzione della
tomba, e in parte dal diffondersi dello storicismo romantico.
Purtroppo, sulla foga del momento, si finì per attribuire al
monumento per il de Foix qualsiasi scultura del Bambaia di cui non si sapesse
con certezza dare una diversa collocazione storica. E così, decine di pezzi
smantellati dagli altri due monumenti funebri realizzati dal Busti, quello per
i Birago e quello per il Bellotti, finirono con l’essere annoverati come
appartenenti al progetto de Foix. Con tale sistema tutt’altro che critico, si finì per
inserire nel catalogo di Brera ben 59 pezzi come originali del monumento al de
Foix.
Nonostante la buona volontà di molti critici, e benchè sulla
fine dell’Ottocento si cominciasse a distinguere tra pezzi originali e pezzi
provenienti dagli altri lavori scultorei del Busti, è ad oggi impossibile
sapere con esattezza quanti e quali pezzi avesse previsto il Bambaia, e
soprattutto quali oggi esistenti fossero davvero appartenuti al progetto per il
de Foix.
Attuale collocazione
Nel 1900, all’apertura del Castello Sforzesco restaurato e
delle relative raccolte archeologiche ed artistiche, venne collocata nella Sala
IX la scultura raffigurante Gaston de Foix, circondata da alcuni tra i migliori
pezzi che avrebbero dovuto costituire l’intero monumento, grazie al lavoro di salvataggio
compiuto dal pittore Bossi. La collocazione venne dopo la seconda guerra rielaborata e
progettata dallo studio BBPR.
Nel 1990 l’intera raccolta dei pezzi fino ad allora
custoditi dalla famiglia Arconati presso la villa di Castellazzo venne acquistata
dal Comune di Milano e conseguentemente trasferita in Castello, al fine di una
corretta riunificazione delle sculture del Bambaia.
Altri pezzi dell’opera sono conservati oggi all’Ambrosiana,
mentre ulteriori frammenti scultorei si trovano a Londra (Victoria and Albert
Museum) e a Torino (Musei Civici).
Bibliografia
Agosti G., Bambaia e il classicismo lombardo, Torino, Einaudi 1990;
Bossi G., Descrizione del monumento di Gastone di
Foix, scolpito da Agostino Busti detto il Bambaja, Milano, Fusi 1852;
Dal Re M., Ville di delizia dello Stato di Milano,
1743;
Fava F., Storia di Milano, Milano, Libreria Milanese 1997;
Fiorio M.T., Agostino Busti: uno scultore lombardo per il
re di Francia, in Il Bambaia, Firenze, Cantini 1990;
Garberi M., Fiorio M.T., Shell J., Agostino Busti detto il Bambaia. 1483-1548. Il monumento di Gaston de
Foix, Milano, Finarte e Longanesi 1990;
Latuada S., Descrizione di Milano, tomo IV, 1738;
Shell J., Il problema della ricostruzione del monumento a
Gaston de Foix, in Il Bambaia, Firenze, Cantini 1990;
Vasari G., Le Vite de’ più eccellenti pittori scultori ed
architettori, 1550.
giovedì 15 febbraio 2007
maurocolombomilano@virgilio.it