Oggi, in collegamento tra piazza Duomo, via Larga e piazza Missori, si apre una moderna piazza porticata su tre lati, con un vasto parcheggio sotterraneo, dedicata al generale Armando Diaz.
Ma fino agli anni Trenta, prima cioè che un infelice progetto e uno scempio edilizio si abbattessero in questa zona, l'area era occupata da un antichissimo e intricato quartiere della Milano medievale, chiamato Bottonuto.
Si trattava di un reticolo di viuzze e botteghe, chiese e postriboli, carretti di venditori ambulanti e vagabondi, tanto pittoresco quanto malfamato, al punto da essere definito da Paolo Valera "una fogna, una pozzanghera".
Vediamo un paio di mappe della zona prima che iniziassero gli sventramenti.
Il nome Bottonuto non ha facile o certa interpretazione: di sicuro sullo sbocco nella via Larga sorgeva una pusterla che permetteva di entrare in città attraverso le mura romane. Questa venne ad un certo punto chiamata Buttinugo, forse dal nome di un soldato tedesco arrivato col Barbarossa. Vi sorgeva anche un ponte, detto pons necis, per non si sa quale uccisione ivi avvenuta.
Nel Bottonuto vi si entrava agevolmente proprio dalla via Larga, dopo essersi lasciati alle spalle la via Pantano e Poslaghetto.
All'ingresso si ergeva una colonna votiva, detta di S.Glicerio. La colonna, che sorreggeva una croce, venne spostata dove ancora oggi si trova, ai Boschetti, in via Marina.
Superata la colonna, si apriva uno slargo detto del Bottonuto.
Ai lati dello slargo due miseri vicoli a fondo cieco: quello delle Quaglie e quello detto Budellino o Cantoncello.
Il quartiere si snodava attraverso quattro vie principali: la contrada dei Moroni, quella dei Pesci, quella di san Giovanni in Conca (ma prima ancora detto dei marchesi di Caravaggio) e infine quella dei Tre Re (Magi). Questa venne in epoca di Cisalpina ribattezzata Tre Alberghi, visto che i riferimenti religiosi o comunque monarchici non erano ben accetti e prendendo spunto dal fatto che sulla si affacciavano, in effetti, tre antichissimi alberghi (appunto, quello dei tre re, quello del cappello rosso e quello reale). Da allora il nome definitivo divenne quello "laico".
Quasi a metà della contrada dei tre Alberghi si formava un piccolo slargo, e vi si trovava la chiesa di San Giovanni Itolano, a fianco della quale partiva un omonimo vicolo e innanzi la quale si ergeva un'altra colonna devozionale, dedicata a san Castriziano (in cima si trovava un crocefisso benedetto da San Carlo Borromeo)
Chiesa di antichissima fattura (III secolo d.C), prese tale nome a partire almeno dal 1388 (secondo il Latuada, tomo II p. 240 ) poi rimaneggiata in epoca barocca su disegno di Bernardo Bussero nel 1634.
L'appellativo Itolano o anche Isolano, fu poi mutato in Laterano, per aver papa Leone X concesso alla chiesa le medesime indulgenze previste per il san Giovanni Laterano di Roma.
Leggendo il Latuada, apprendiamo che la chiesa ad un'unica navata ospitava due cappelle per ciascun lato.
Sulla facciata, un bel bassorilievo raffigurava "la decollazione del Santo, opera di Carlo Bono, scultore milanese".
Questa antichissima zona di Milano si avviò alla morte nel 1928, quando il Comune stipulò un accordo con una società italo-americana per la costruzione di un edificio a dieci piani, di cui due sotterranei, per uffici, magazzini e negozi; per un albergo di 400 stanze e un cinema-teatro capace di 3.000 posti. Questi edifici si dovevano disporre ai lati di uno stretto cortile rettangolare porticato.
Questo "cortilone" (che ora sappiamo essere l'antenato dell'attuale piazza Diaz) era funzionale alla grande arteria viaria a scorrimento veloce (una specie di autostrada!) detta la "Racchetta" che, nel Piano Regolatore del 1926, avrebbe dovuto collegare piazza S. Babila a via Monti.
Secondo le ottimistiche previsioni di allora "la Racchetta muove da piazza S. Babila, s’inoltra in località occupate da isolati di vecchi, decrepiti edifici (via Passerella, S. Vito al Pasquirolo) fino all’ex Tribunale. Qui la strada s’inserisce in via Larga per penetrare proprio in quella vecchia superstite e romantica Milano e raggiungere piazza Missori; dopo aver smantellato S. Giovanni in Conca, speronato l’antico liceo Beccaria, tagliandone una larga porzione per sottopassare via Torino, la via attraversa le strade del quartiere antico di via Cappuccio, S. Orsola, Ansperto, S. Agnese, Terraggio, per congiungersi con via V. Monti." Sappiamo per fortuna che i lavori si interruppero prima di arrivare a tanto scempio (anche se mutato il piano regolatore, alcuni disastri erano ormai compiuti!).
Chi voleva recarsi in centro avrebbe quindi potuto trovare una grande area parcheggio con tanto di centro commerciale e ricreativo, in comunicazione con piazza Duomo attraverso alte gallerie tra le vie Cappellari e Rastrelli. In fondo al cortilone si aprivano due nuove vie, Gonzaga e Baracchini, che ricalcavano, con un’ampiezza molto maggiore, l’antico vicolo di S. Giovanni in Conca e la via Visconti.
Gli accordi con la società italo-americana vennero ufficializzati con decreto del 20 novembre 1930 e, in forza del progetto, si iniziarono gli espropri (peraltro alquanto vantaggiosi per i proprietari) da parte del Comune. Gli operai iniziarono così, nel giro di qualche anno, a demolire la chiesa di San Giovanni e tutte le antiche costruzioni del quartiere.
A demolizioni ampiamente iniziate, con un vero e proprio cantiere gigantesco a due passi dal Duomo, la società decise (perchè e a quali condizioni non saprei) di ritirarsi dall'affare, lasciando solo una enorme spianata.
Nel 1933 intervenne Piero Potaluppi, progettando i palazzi del lato destro, per l'INA.
Vediamo in una mappa degli anni trenta come si presentava la zona.
Contro l’intero progetto, ormai snaturato nel suo aspetto iniziale, si scagliarono vivaci oppositori, sia per l’esorbitante costo dell’operazione di esproprio, sia per la distruzione del centro storico. L’ingegnere capo del Comune, Baselli, scriveva nel 1936: "Mentre all’inizio si pensava di accollare alle ditte costruttrici una notevole parte delle spese per la sede della piazza e delle strade, praticamente ne risultò un onere che già supera i 25 milioni per un’area di 8.200 mq". L’arch. De Finetti valutò l’onere complessivo per piazza Diaz in 125 milioni nel 1937. A favore il Corriere della Sera, che in un articolo del 25 settembre 1936 esprimeva il suo entusiasmo per l’operazione: "Il Comune, opportunamente stimolando e coordinando le sue iniziative, è riuscito a far sparire quell’orribile cumulo di catapecchie che era compreso tra le vie Cappellari e Paolo da Cannobio. Necessità igieniche e sociali esigevano tale opera di risanamento".
Nel 1937 si modificò ulteriormente il progetto trasformando il cortilone (30 x 116 m) in piazza (60 x 100 m), definendo nel 1938 la quantità esatta di case da demolire per completare il progetto.
Nel gennaio 1940 il Comune perfezionò le delibere per l’acquisto delle aree necessarie al completamento meridionale di piazza Diaz, questa volta facilitato dal clima bellico e dai successivi bombardamenti. Nel frattempo anche la "Racchetta" si arenava davanti all’abside di S. Giovanni in Conca in via Albricci (chiesa che verrà del tutto demolita nell'immediato secondo dopoguerra, quando ripresero i lavori per la racchetta, che si fermò definitivamente in piazza Missori, davanti al deciso divieto, espresso dalla Sovraintendenza, alla demolizione del liceo Beccaria).
Alla fine della guerra i lavori erano lontani dall'essere terminati, ma nel marzo del 1950 la situazione appariva quasi al traguardo, come scriveva il Corriere della Sera.
Rimaneva irrisolto il problema di come chiudere il fondo della piazza, che rappresenta una quinta scenica simmetrica con l’arco trionfale della Galleria. Nessun progetto sembrava intonarsi né allo stile Anni Trenta della piazza, né agli edifici di piazza Duomo.
Si ricorse allora a uno stratagemma: si simulò l’attuale Torre Martini con un fac-simile in tubolari per saggiarne l’impatto ambientale.
Superata la prova, nel 1958 la Torre venne completata e con essa l’assetto finale della piazza, che inizialmente, e per molti anni, ospitò al centro un vasto parcheggio, e sotto il parcheggio interrato ancora oggi in funzione.
Solo recentemente, la piazza è stata parzialmente riconvertita a verde, con al centro il monumento ai Carabinieri di Luciano Minguzzi.
Bibliografia
Latuada S., Descrizione di Milano (...), tomo II, 1737,
Pellegrino B. Così era Milano, Porta Romana, 1985
mauro colombo
agosto 2014
ultimo aggiornamento: maggio 2017
ultimo aggiornamento: maggio 2017
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