La storia di Milano, i suoi luoghi, i suoi personaggi. Un blog di Mauro Colombo

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lunedì 16 giugno 2014

Manfredo Settala , l'Archimede milanese

La famiglia Settala


I Settala derivavano il loro nome dal borgo di Settala, situato ad est di Milano, che ebbero in feudo a partire almeno dal IX secolo. La famiglia faceva risalire le sue origini però al V secolo d.C., citando come illustre appartenente al casato S. Senatore, vescovo milanese del V secolo, del quale in verità non si hanno notizie.
settalal mannfredo lodovico
Tra gli altri membri della stirpe degni di menzione si ricorda Passaguado, che, dopo la terribile distruzione di Milano ad opera di Federico Barbarossa, si era prodigato a ricostruire le mura cittadine nel 1171.
Poi vi fu Enrico, arcivescovo di Milano dal 1213, partito per le Crociate nel 1220. Consacrò l'Abbazia di Chiaravalle nel maggio del 1221 e morì il 16 settembre del 1230, dopo aver partecipato, sempre come protagonista, nel bene e nel male, alla vita della città.
Altri tasselli importanti della famiglia furono il famoso beato Manfredo, eremita sul monte San Giorgio nei secoli XI e XII, il beato Lanfranco, priore dal 1254 al 1264 del convento agostiniano annesso a San Marco, e Gerolamo, penitenziere maggiore della cattedrale a partire dal 1618.

Nella chiesa di San Marco si può ammirare il grande monumento tombale di un altro celebre Lanfranco Settala, il confessore di Giovanni Visconti morto il 29 gennaio 1355.

 


Ludovico Settala


Senza dubbio, però, il personaggio più illustre e conosciuto della famiglia (anche grazie al Manzoni) fu Ludovico, protofisico all'epoca della terribile pestilenza del 1630. Nato nel 1552, si era laureato in medicina a Pisa, pur continuando a coltivare interessi filosofici e letterari.
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La sua esperienza medica era iniziata con la peste del 1576, accanto a Carlo Borromeo, esperienza che gli permise di ottenere presso le autorità cittadine un grande credito durante i terribili mesi della successiva, violentissima, epidemia del 1630, benché ottantenne e malfermo di salute. Venne descritto come uno spirito illuminato e scientificamente all'avanguardia rispetto ai colleghi del tempo, e proprio per questo fu accusato dal popolo di voler terrorizzare la città, per via delle sue teorie circa i rischi del contagio.
D'altro canto credette sempre e fermamente nell'esistenza della stregoneria, e di ciò ne diede ampiamente prova nel famoso e triste caso della domestica Caterina Medici, contro la quale, assieme ad altri medici, stese una perizia accusandola senza mezzi termini di stregoneria e malocchio, finalizzati ad uccidere lentamente il senatore Luigi Melzi. La poverina fu, in forza di tale documentazione, condannata al rogo e bruciata viva il 4 marzo 1617.
Ludovico morì nel 1633 lasciando ben diciotto figli, tra i quali Senatore, medico ricordato dal Manzoni, e Manfredo.
Con la numerosa famiglia abitava nel palazzo avito nella contrada che dalla sua famiglia aveva preso il nome (oggi via Paolo da Cannobio), ma divenuto lo spazio troppo stretto per così tante persone, costruì un nuovo palazzo in piazza S. Ulderico (poi via Pantano 26), che grazie ai suoi eclettici interessi divenne famoso per la splendida biblioteca e la celebre quadreria, nucleo primitivo della raccolta che poi verrà ereditata ed elaborata dal figlio Manfredo.

Manfredo Settala




Manfredo nacque l'otto marzo del 1600. Ancora adolescente, si recò in visita alla collezione d'arte dei Gonzaga, a Mantova, rimanendo colpito dal contenuto delle quattro stanze del palazzo Ducale, ove erano state sistemate le più rare meraviglie che la natura aveva saputo offrire. Dopo gli studi di lettere, retorica e filosofia, si laureò in giurisprudenza nell'università di Pavia all'età di ventun'anni. Trasferitosi a Siena, iniziò ad interessarsi alla scienza e alla fisica. Deciso a scoprire l'Oriente, dovette faticare parecchio per convincere il padre Ludovico a concedergli le risorse economiche necessarie all'organizzazione della complessa spedizione, stante la situazione familiare non certo rosea. Riuscì comunque a coronare il suo sogno, potendo partire prima per la Sicilia, sulle galere del granduca di Toscana, e dall'isola spostandosi poi a Costantinopoli, dove rimase circa un anno,ottenendo il permesso di spostarsi in Turchia e a Cipro, in un periodo compreso tra il 1622 e il 1628. Sbarcato al termine dell'avventura a Livorno, rientrò a Milano carico di reperti naturalistici ed etnografici scovati un po' dappertutto, da lui definiti "turcheschi".
Il 18 marzo 1628 ricevette il diaconato dal suo amico cardinale Federico Borromeo, senza che intendesse comunque indirizzarsi alla carriera ecclesiastica. Lontano da Milano Manfredo continuava a condurre una vita mondana, sempre più esposta ai rischi della peste e delle scorribande dei lanzichenecchi. Il padre Ludovico non mancava pertanto di rimproverargli, di tanto in tanto, tale condotta immorale, come risulta dal rapporto epistolare tra i due.
Nel 1630 il cardinale Borromeo gli concesse il canonicato della basilica di San Nazaro, sul corso di Porta Romana, a due passi dal palazzo paterno, carica che manterrà per tutta la sua vita e che gli assicurerà  una rendita economica modesta ma perpetua, in grado di lasciargli tutto il tempo necessario per potersi dedicare agli studi scientifici e naturalistici senza l'assillo di trovarsi altre fonti di reddito.
Manfredo fece rientro a Milano solo a peste cessata. Il terribile flagello, oltre a decine e decine di migliaia di cittadini, si era portato via nel 1633 anche il padre Ludovico, dal quale ereditò la collezione di famiglia. 

 


Il Museo Settala


Dopo la morte del padre, Manfredo iniziò a collezionare in maniera sistematica oggetti e strumenti scientifici di ogni genere, i quali trovarono spazio sia nella casa di piazza S. Ulderico, sia nei locali della canonica di S.Nazaro.
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In quest'ultima, tranquilla e isolata, aveva anche allestito un piccolo ma fornitissimo laboratorio, dove passava le giornate a progettare e realizzare strumenti meccanismi tra i più disparati. Lavorava al tornio, fondeva metalli, costruiva specchi ustori e strumenti ottici di precisione, tanto da essere definito "l'Archimede del nostro secolo" (Picinelli).
Lo spirito curioso e metodico di Manfredo lo portò a riunire più di tremila pezzi di varia natura, catalogabili in tre grandi sezioni, come Manfredo stesso precisava: i Naturalia, cioè oggetti forniti all'uomo direttamente dalla natura, e suddivisibili a loro volta in animali, vegetali, minerali; gli Artificialia, cioè le creazioni dell'uomo, che grazie alla sua perizia modifica i naturalia secondo le proprie esigenze o estro; i Curiosa, cioè tutto ciò che può incuriosire o stupire in quanto monstra, cioè extra norma.
Accanto agli oggetti trovati in natura o costruiti nel laboratorio, Manfredo raccolse migliaia di libri, che assommandosi a quelli della più antica biblioteca paterna, finirono con l'ammontare a ben 10.000 volumi a stampa e circa 600 manoscritti.
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La moda della Wunderkammer  tra Cinquecento e Seicento


Il Museo Settala poteva, secondo alcuni studiosi e per certi versi, inserirsi in quel filone collezionistico che andava all'epoca di Manfredo sotto il nome di Wunderkammer, o camera delle meraviglie, collezioni diffusesi soprattutto nel centro Europa a partire dal tardo Cinquecento. Sviluppatesi poi enormemente nel primo Seicento, in un periodo caratterizzato dal gusto barocco, erano raccolte di meraviglie naturali e artificiali che ricchi personaggi allestivano e continuamente incrementavano per appagare se stessi e stupire gli ospiti. Di norma tali collezioni trovavano posto in stanze o ali di palazzi e residenze, ma erano alquanto statiche, nel senso che il proprietario collezionista introduceva sì continuamente nuovi pezzi, ma questi erano posti in modo da essere semplicemente contemplati.
Secondo altre teorie, che forse colgono più nel segno, la Galleria Settala, grazie all'estro di Manfredo, doveva apparire ben differente dalle suddette camere delle meraviglie, proprio a causa dell'interrelazione tra gli oggetti e Manfredo stesso. Questi infatti non si accontentava di ammirare i pezzi raccolti, ma li adoperava e li analizzava di continuo, cercando il più possibile di trarre nuove esperienze scientifiche. Ne sarebbe prova il fatto che accanto alla sezione propriamente museale, dove primeggiava il gusto per le stranezze e il collezionismo di quadri, monete, monili, esisteva il già citato laboratorio scientifico, dove venivano creati gli artificialia o elaborati e analizzati i naturalia.
A sostegno di questa seconda tesi, del resto, che cioè la concezione di Manfredo della sua raccolta fosse più vicina al gabinetto scientifico che ad una Wunderkammer, esistono i documentati rapporti scientifici che il Settala intrattenne con alcuni esponenti del mondo accademico del suo tempo (Giovanni Rucelai, Cosimo III Medici, Henry Oldenburg della Royal Society).
Tra le sue prestigiose frequentazioni ricordiamo l'amico di gioventù Fabio Chigi. Quando questi, nel 1655, fu elevato al soglio pontificio col nome di Alessandro VII, Manfredo si recò a Roma per rendergli visita. Qui si fermò alcuni mesi, per avere il tempo di visitare e studiare le catacombe cristiane.
Manfredo intrattenne una fitta corrispondenza epistolare anche con Francesco Redi, incentrata prevalentemente su problemi di ricerca medico-naturalistica.

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L'attività scientifica di Manfredo


Il secolo di Manfredo si caratterizzava dall'apertura inarrestabile di nuove vie commerciali e dalla colonizzazione di nuovi mondi. Iniziavano in quegli anni gli scambi commerciali tra Europa e America, fonte inesauribile di novità.
A Milano il cardinale Federico Borromeo riceveva e ospitava spesso i missionari di ritorno dall'America Latina, per informarsi dell'evangelizzazione di quelle terre. Anche Manfredo ospitava presso il proprio gabinetto scientifico religiosi e mercanti provenienti da spedizioni oltreoceaniche, sperando di poter ottenere nuovi pezzi per il Museo.
Tra gli oggetti così ottenuti vi era un intero corredo rituale usato dai sacerdoti Tupinamba nelle danze propiziatorie, composto da un mantello di piume colorate e da cavigliere e bracciali con sonagli.
Ma non solo le meraviglie d'oltre Oceano stuzzicavano l'interesse di Manfredo. Infatti, a rappresentare degnamente il fascino dell'Oriente v'era la mappa cinese disegnata dal missionario gesuita Aleni, una sorta di planisfero con al centro la Cina anziché, come da tradizione topografica europea, il vecchio continente.
Ricco di tutte queste meraviglie, non stupisce che il museo fosse tappa obbligata per gli stranieri di passaggio a Milano. Tra i più illustri, Manfredo ebbe il piacere di ricevere Walter von Tschirnhaus, uno degli inventori della porcellana europea, al quale Manfredo confidò di essere riuscito a creare anch'egli la ceramica col metodo dei cinesi.
Un grande interesse per Manfredo fu poi  il "moto perpetuo" e gli automatismi in genere. Costruì così meccanismi e ingranaggi, fino a realizzare il famosissimo "automa meccanico": una scatola di legno e un busto ligneo dal volto demoniaco, che mediante appositi ingranaggi e leve, muoveva bocca e occhi, terrorizzando gli astanti (oggi in prestito provvisorio al Castello ma recentemente esposto al Mudec).

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La catalogazione degli oggetti del Museo


Manfredo aveva fin dal 1664 manifestato l'intenzione di predisporre un catalogo ove elencare tutte le "meraviglie" custodite nel suo Museo. Sul finire di quell'anno venne stampato, ad opera di Paolo Maria Terzaghi, fisico collegiato milanese, il "Musaeum Septalianum", vero e proprio catalogo suddiviso in 67 capitoli per elencare minuziosamente tutto il contenuto della galleria manfrediana. Poiché la lettura di tale opera risultava, per i meno dotti, ostica a causa dell'utilizzo del latino, due anni dopo veniva stampata l'edizione italiana dell'opera, meno erudita ma più divulgativa. Di questa opera in volgare venne poi tirata una seconda edizione, di poco successiva, aggiornata con le nuove acquisizioni.
È in questa edizione che fu inserita la celebre incisione, a firma di Cesare Fiori, riproducente la sistemazione della galleria nel palazzo Settala di via Pantano: si tratta di una tavola panoramica ove è possibile scorgere, se non ovviamente tutti i pezzi, almeno i più significativi e prestigiosi, così come Manfredo aveva voluto esporli e collocarli negli spazi a sua disposizione.
Purtroppo questa rappresentazione non corrisponde a certe descrizioni lasciate da alcuni visitatori: ad esempio risulta che il Museo fosse alloggiato in quattro stanze, ma l'incisione propone un unico, grande, lungo locale.
Ma ancora prima di dare alle stampe un catalogo, Manfredo aveva ideato un curioso sistema per enumerare i suoi tesori. Risulta infatti che egli avesse affidato a giovani pittori milanesi il compito di riprodurre con disegni e dipinti tutti gli oggetti del Museo: un catalogo visivo, che andò a riempire ben sette volumi, presto purtroppo svaniti nel nulla.


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Solo nel 1900 due di questi volumi vennero ritrovati sul mercato antiquario di Lipsia, mentre un terzo fu ritrovato presso Michelangelo Guggenheim. Altri due furono identificati presso la Biblioteca Estense di Modena. Tutti questi cinque volumi entrarono poi tra le proprietà della Biblioteca Ambrosiana che, come vedremo più avanti, divenne la depositaria della raccolta settaliana.
Ognuno dei disegni riproducenti fedelmente gli oggetti museali reca anche brevi annotazioni, redatte dallo stesso Manfredo, circa l'oggetto rappresentato. Dai disegni pervenuti fino a noi, e da tali appunti, sappiamo così di una Sfera Armillare tolemaica, costruita dallo stesso Manfredo (si tratta di un sofisticato strumento astronomico, che nulla aveva da invidiare a quelli costruiti sulle migliori piazze d'Europa).
Tra gli strumenti costruiti dal Settala, alcuni disegni raffigurano un compasso galileiano, due arcolai snodati, una corona ricavata da avorio di rinoceronte, e un gioco di società basato sulla corsa di una lucertola metallica. Poi apprendiamo di numerose macchine del moto perpetuo, tra le quali quella ove una piccola sfera rotolava lungo una scanalatura, risaliva grazie ad una molla e poi riprendeva a scendere, più o meno all'infinito, o quella che, per confessione dello stesso Manfredo, andò avanti tre mesi, avendola dimenticata in moto per sbaglio, prima di partire per un soggiorno trimestrale a Venezia.
Tra le costruzioni ottiche (che egli lavorava, come già accennammo, nel suo laboratorio a San Nazaro) destava meraviglia tra i visitatori uno strumento per leggere a distanza (sorta di cannocchiale), sperimentato nel chiostro di S.Pietro in Gessate: "Mezza balla di vetro massiccia delle maggiori che si possa fare, poiché tutte crepano per legere di lontano, poiché havendo fatto l'esperienza nel convento di S. Pietro Gessato, che il coridor de tutti duoi cortili sono longhi 220 passi, et legevamo le lettere et il missale benissimo".
Nella sezione dedicata all'archeologia, dai disegni apprendiamo dell'attività di archeologo dello stesso Manfredo, che aveva disseppellito: "Otto vasetti lacrimatori trovati a Sesto Ulteriano nella mia prependa, appresso alcune urne, nel lavorare".
Per quanto riguarda i reperti naturalistici, sappiamo dell'esistenza, presso la Galleria, di una "Testa grandissima di Hippostamo (ippopotamo) con tutti li 12 denti mardiculari venuto dal Congo", "Duoi bracci con le loro mani, uno tutto lavorato di nastri e bindelli di Mummia con la sua mano, et le ungi di tutta bellezza…….l'altro con carne et la mano ristretta a pugno", poi ancora "Quattro coste di pesce sirena, o Pesce muglier…….e mano di pesce sirena", una "pelle di tigre" e una "di Leone", "icuana, che nel capo tiene una pietra molto stimata contro veleno".
La maggior parte di questi reperti gli era stata donata dai numerosi amici che Manfredo frequentava, tra i quali il munifico principe Landi.

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I rapporti tra Manfredo e l'Ambrosiana: il testamento


Federico Borromeo, artefice e fondatore dell'Ambrosiana, era molto amico di Manfredo, tanto da affidargli l'incarico di ricercatore di libri per la neonata biblioteca. Successivamente, Federico lo nominò conservatore, carica di prestigio che spinse Manfredo, nel 1670, a donare alla biblioteca Ambrosiana una parte della sua collezione libraria, alla quale ne farà seguito un'altra, due anni dopo.
E all'Ambrosiana Manfredo pensò anche quando, nel 1672, decise di predispone il proprio testamento. Dopo aver affermato di essere l'unico proprietario degli oggetti facenti parte del Museo, avendoli egli stesso raccolti, acquistati o fabbricati, il Settala istituì un fedecommesso sull'intera raccolta, disponendo cioè che questa dovesse passare, dopo la sua morte, al fratello Carlo, il quale avrebbe dovuto poi trasmetterla, senza poterla disperdere o alienare, ai figli del fratello Senatore: Francesco, Lodovico, Settimio Passaguado e ai suoi discendenti maschi in linea di primogenitura.
Estintasi la linea maschile dei Settala, Manfredo dispose che la Galleria entrasse a far parte del patrimonio dell'Ambrosiana. Al testamento fu allegato, a scanso di equivoci, il Catalogo a stampa di cui già parlammo.
Il fedecommesso (istituto successorio all'epoca diffusissimo, persino nei ceti meno abbienti), permetteva dunque di non disperdere i patrimoni familiari, dato che ciascun erede era costretto a mantenere i beni presso di sé per poterli poi trasmettere, integri, ai successivi eredi designati. Così facendo Manfredo tutelava il Museo da smembramenti e suddivisioni tra eredi che ne avrebbero minato il valore scientifico e artistico.

La morte di Manfredo


Manfredo Settala morì il 6 febbraio 1680, e sei giorni dopo ebbe un sontuosissimo funerale in San Nazaro, di cui per tanti anni era stato canonico.
La data del suo funerale coincise, paradossalmente, con l'inizio della dispersione del suo amato Museo. Infatti nella Chiesa venne allestito un catafalco tipicamente barocco, addobbato con numerosissimi oggetti prelevati dalla Galleria, oggetti che, ad esequie terminate, non tornarono più al loro posto.
Anche il collegio dei Gesuiti a Brera volle onorare lo scomparso, allestendo una sorta di rappresentazione teatrale, durante la quale vennero portati in processione alcuni tra i più significativi pezzi del Museo. Ed ancora una volta, molti di questi pezzi presero poi strade diverse anziché quella del palazzo di via Pantano.
Apertasi la successione, primo erede del Museo Settala fu dunque, come da testamento, il fratello Carlo, vescovo di Tortona.
Morto Carlo nel 1682, il Museo passò a Francesco (anch'egli canonico di San Nazaro), e da questo momento si può ben dire che la Raccolta si iniziò a trasformarsi senz'altro in una wunderkammer, avendo ormai assunto il carattere della staticità che Manfredo aveva invece sempre evitato, grazie al suo ingegno e al suo interesse per la ricerca di nuovi pezzi.
Charles de Brosses, durante una visita a Milano nel 1739, non perse l'occasione di recarsi ad ammirare il Museo Settala, ma il suo commentò non fu d'ammirazione, come prima d'allora gli altri visitatori erano soliti fare, bensì il seguente: "Quanto alla Collezione Settala, tanto celebrata in tutti i libri su Milano, essa ha la sorte di tutte le collezioni, che è quella di deperire a poco a poco". L'unica cosa che parve colpire davvero il visitatore fu l'automa meccanico: "Un cassettone dal quale esce all'improvviso una spaventosa faccia di demonio che si mette a sghignazzare, a cacciare la lingua e a sputare in faccia ai presenti".
Successivamente, morto anche Settimio Passaguado, sua figlia Caterina, sposa del marchese Gaetano del Pozzo, avanzò pretese in ordine alla proprietà museale, benché il fedecommesso parlasse esclusivamente di eredi in linea maschile. Si aprì così uno spiacevole contenzioso con il canonico Francesco e suo fratello Lanfranco, ultimo dei sostituti.
Il Senato Milanese, investito della controversia, sentenziò assai celermente, ingiungendo a Caterina di rilasciare la Galleria in favore di Francesco Settala, che avrebbe dovuto in ogni caso custodirla senza asportarvi alcunchè.
Francesco Settala morì nel 1711, senza che vi fossero altri eredi maschi che potessero impedire all'Ambrosiana di entrare in possesso del Museo di Manfredo.

La controversia


Tuttavia, morendo, Francesco Settala aveva voluto comunque istituire erede universale il conte Carlo Settala, rappresentante di un ramo collaterale della famiglia, specificando che non tutto quello che apparteneva al Museo poteva veramente dirsi di Manfredo, dato che molti oggetti erano stati da sempre della famiglia Settala, anche prima della nascita di Manfredo.
Così, per l'Ambrosiana il testamento di Manfredo iniziò a rivelarsi un impiccio più che un vantaggio. Il 9 giugno del 1713 fu siglato un compromesso tra il conte Carlo e l'Ambrosiana, in forza del quale le parti si impegnavano a ricomporre amichevolmente la lite entro sei mesi.
Purtroppo le cose non andarono per il verso giusto, visto che due anni più tardi la causa si trovava pendente presso il Senato milanese, e per di più bloccata a causa dell'assenza dalla città del Senatore Olivazzi, innanzi al quale doveva tenersi il contraddittorio.
Tra vari avvicendamenti dei rappresentanti dell'Ambrosiana e l'ostinazione del conte Settala, la causa iniziò a trascinasi stancamente, fino a quando, a peggiorare le cose, si ripresentò Caterina Settala del Pozzo, già conosciuta in precedenza, che a sua volta iniziò una controversia contro Francesco Settala.
Nel 1734 il Senatore Olivazzi fu promosso a Gran Cancelliere, e la causa Settala fu sospesa in attesa che le venisse assegnato un nuovo relatore. Nel 1744, la Congregazione dei conservatori dell'Ambrosiana presentò istanza perché venisse redatto un nuovo inventario, al fine di determinare con precisione (dopo così tanti anni di liti) quale fosse veramente l'ammontare degli oggetti ancora presenti nel museo Settala.
Finalmente, il 19 febbraio 1751, il Senato emise sentenza favorevole all'Ambrosiana, e ingiungeva a Carlo Settala, e a suo fratello Senatore (che nel frattempo si era intromesso) a rilasciare tutta la Galleria.
Carlo Settala impugnò la sentenza, chiedendo che l'Ambrosiana fornisse adeguata garanzia a tutela di tale incommensurabile patrimonio scientifico. Dopodiché, consegnati alcuni oggetti, Carlo Settala si rifiutò di rilasciare altro, sostenendo che il restante materiale non era mai appartenuto a Manfredo, bensì alla famiglia Settala da generazioni. In ogni caso, dopo alcuni anni di tira e molla, dai documenti dell'Ambrosiana risulta che a far data dal 1755 tutto il materiale museale era stato consegnato, nel rispetto della sentenza del Senato.

Successive vicende della collezione Settala


Giunta finalmente nel patrimonio del nuovo legittimo proprietario, la collezione non fu comunque al sicuro. Nel 1760, infatti, l'Ambrosiana acquistò un'importante collezione naturalistica, che andò così a mischiarsi con la settaliana: da questo momento risulterà sempre più arduo stabilire quali oggetti appartennero veramente a Manfredo e quali furono invece frutto di acquisizioni successive.
Nel 1790 una parte delle Medaglie settaliane fu ceduta in cambio di altre medaglie in vendita sul mercato collezionistico, e giudicate più rappresentative ai fini storico-divulgativi. Due anni dopo, in seguito ad un altro scambio di pezzi numismatici, la sezione Medaglie e Monete della collezione settaliana andò definitivamente e irrimediabilmente compromessa.
Con l'arrivo dei napoleonici, numerosi pezzi settaliani furono trafugati e spediti a Parigi. Molti reperti sfuggirono alle requisizioni militari solo perché nascosti in vari luoghi, e furono celati tanto bene alle truppe francesi, che poterono essere ritrovati e riuniti (ma in parte) solo parecchi anni dopo la fine dell'occupazione straniera.
Solo nel 1906 il museo Settala fu degnamente ricomposto e sistemato, ad opera del prefetto dell'Ambrosiana Antonio Maria Ceriani, e finalmente reso visibile alla cittadinanza. Fu però la paziente opera di Achille Ratti (il futuro papa Pio XI) che permise, in quegli stessi anni, di ripulire la collezione da pezzi non originali, basandosi, per l'analisi del nucleo originale, sul catalogo a stampa.
Successivamente fu compiuto un nuovo riordino negli anni 1926-1934, ma un durò colpo fu inferto alla collezione durante i bombardamenti notturni del 15 agosto 1943.
L'ultimo smembramento fu compiuto nel 1970, quando la parte naturalistica fu ceduta al museo di Storia naturale, e alcuni pezzi venduti ad altre istituzioni. Il mostro semovente meccanico, ad esempio, venne ceduto alle Civiche raccolte d'Arte Applicata del Castello sforzesco.
Nel 1984 fu organizzata, in ultimo, una mostra temporanea che raccolse la maggior parte dei pezzi settaliani ancora esistenti e individuati: un doveroso tributo all'Archimede milanese.

Bibliografia


Navoni M., L'Ambrosiana e il museo Settala, in Storia dell'Ambrosiana, 2000;
Aimi A., De Michele V., Morandotti A., Musaeum Septalianum. Una collezione scientifica nella Milano del Seicento, 1984
De Michele V., Cagnolaro L., Aimi A., Laurencich L., Il Museo di Manfredo Settala nella Milano del XVII secolo, Museo Civico di Storia Naturale di Milano, 1983
Tavernari C., Manfredo Settala, collezionista e scienziato milanese del '600, 1976
mauro colombo
novembre 2002 
ultimo aggiornamento: 2015

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