Già nel 1900 vince il concorso pubblico per la progettazione del padiglione
delle Poste e Telegrafi da realizzarsi per l'Esposizione universale di Milano del 1906.
Ben presto si afferma in città per le sue capacità di impresario edile e progettista, coniugando così, nella sua professione, gli aspetti pratici a quelli artistici.
Dalla sua fantasia nascono alcune delle più pregevoli costruzioni liberty milanesi: la casa di via Bellini n. 11, con decorazioni plastiche all'esterno e le imponenti
statue femminili in cemento all'ingresso, la casa di via Pisacane n. 12, la casa in via
Senato n. 28, con facciata in pietra e l'ultimo
piano in ceramica, l'istituto S. Vincenzo, in via Copernico n. 1 (questo in stile
neoromanico).
Quasi sicuramente è sua la realizzazione (coeva al restauro del castello ivi presente) del caratteristico borgo neoromanico di Grazzano Visconti, presso Piacenza, su committenza di Giuseppe Visconti di Modrone.
Fuori città, ricordo la bellissima villa Bernasconi a Cernobbio.
Gli anni successivi alla prima guerra mondiale si rivelano meno artistici e più pratici, dedicandosi il Campanini alla costruzione di edifici per abitazioni medio borghesi, senza più quell'impronta che aveva caratterizzato i primi anni di attività.
E fu proprio durante la costruzione di un condominio in viale Umbria che l'architetto, appena cinquantatreenne, trovò la morte, inaspettata e tragica. Una morte del tutto simile a quella di un altro architetto tanto caro ai milanesi, anch'esso dell'Emilia Romagna, Giuseppe Mengoni, il padre della Galleria (1829-1877): una caduta da un'impalcatura di cantiere.
Le cronache dell'epoca ci raccontano che il 9 febbraio del 1926, Campanini era impegnato a verificare le fasi costruttive dell'edificio (tutt'ora esistente) che stava sorgendo in viale Umbria 76. In tale edificio si sarebbero dovute trasferire le famiglie sfrattate dalle stamberghe di piazza Vetra, della quale l'architetto stava appunto curando la riqualificazione.
Mentre si trovava su un'impalcatura con il giovane carpentiere Ernesto Brusa, comasco, di anni 26, alle 17.10 collassava di colpo l'ala del palazzo alla quale l'impalcatura stessa era ancorata.
I due poveretti precipitarono al suolo, ma mentre il giovanotto se la cavò con leggere conseguenze, il Campanini rimase a lungo intrappolato sotto le macerie, da dove, con flebile voce, tentava di istruire i soccorritori affinchè lo liberassero. Giunsero sul posto "due carri dei pompieri dotati di lampade all'acetilene". Fu infine estratto, ma come scrisse il Corriere della Sera: "il volto apparve irriconoscibile, e in tutto il corpo erano ferite, fratture e lacerazioni. Lo sventurato con gli abiti a brandelli venne pietosamente deposto su una lettiga che si avviò veloce verso l'Ospedale Maggiore".
Il Campanini esalò l'ultimo respiro nel padiglione dell'accettazione.
Il Campanini esalò l'ultimo respiro nel padiglione dell'accettazione.
Si appurò che l'ala crollata poggiava su fondamenta non solide, compromesse dagli allagamenti che in quei giorni si erano verificati per colpa della vicinissima roggia Gerenzana (che correva lungo la via Anfossi).
Forse fu dunque una fatalità, più che un errore progettuale, quello che costò la vita al famoso architetto del liberty milanese, vero artista che oggi riposa al Cimitero Monumentale.
Mauro Colombo
gennaio 2017
ultimo aggiornamento: maggio 2017
ultimo aggiornamento: maggio 2017
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