Il vasto quadrilatero del quattrocentesco edificio ospedaliero del lazzaretto (lungo 378 metri e largo 370) occupava un'area delimitata dalle attuali direttrici San Gregorio, Lazzaretto, Vittorio Veneto e Buenos Aires.
Terminato il suo utilizzo dopo la nefasta e famosa peste del 1630 (entrata nella storia anche grazie al Manzoni), l’edificio venne sfruttato dall’Ospedale maggiore per vari usi, dandolo in locazione a diversi privati lungo i decenni che ne videro il suo progressivo, inesorabile, declino.
Infatti, mentre le stanze che si affaccivano sul corso Buenos Aires (all’epoca stradone Loreto) furono riconvertite in botteghe, altre zone furono occupate da emarginati e nullatenenti, che vi si installarono facendone le loro case di fortuna.
Tralasciando alcuni sporadici utilizzi che lo videro al centro della vita cittadina, come nel 1797 quando in piena esaltazione napoleonica venne ribattezzato Campo della Federazione, in onore della federazione di città cisalpine, e divenne il fulcro di effimeri festeggiamenti e tornei, la sua presenza era vista come un ingombrante problema. Tanto da farci passare in mezzo il viadotto ferroviario, nel 1861, in concomitanza con l’apertura della vecchia stazione centrale (dove oggi si apre piazza della Repubblica).
Terminato il suo utilizzo dopo la nefasta e famosa peste del 1630 (entrata nella storia anche grazie al Manzoni), l’edificio venne sfruttato dall’Ospedale maggiore per vari usi, dandolo in locazione a diversi privati lungo i decenni che ne videro il suo progressivo, inesorabile, declino.
Infatti, mentre le stanze che si affaccivano sul corso Buenos Aires (all’epoca stradone Loreto) furono riconvertite in botteghe, altre zone furono occupate da emarginati e nullatenenti, che vi si installarono facendone le loro case di fortuna.
Tralasciando alcuni sporadici utilizzi che lo videro al centro della vita cittadina, come nel 1797 quando in piena esaltazione napoleonica venne ribattezzato Campo della Federazione, in onore della federazione di città cisalpine, e divenne il fulcro di effimeri festeggiamenti e tornei, la sua presenza era vista come un ingombrante problema. Tanto da farci passare in mezzo il viadotto ferroviario, nel 1861, in concomitanza con l’apertura della vecchia stazione centrale (dove oggi si apre piazza della Repubblica).
Dopo vari tentativi, finalmente l’Ospedale maggiore riuscì a trovare un compratore: la banca Credito Italiano sborsò poco più di un milione e 800 mila Lire. Scopo dell’acquisto: demolizione immediata per realizzare il quartiere che ancora oggi vediamo.
Pertanto, tra il 1882 e il 1890, il lazzaretto venne raso progressivamente al suolo, salvo una porzione, per momoria cittadina, ancora visibile in via San Gregorio.
Vennero inoltre salvate vaste porzioni dai fratelli Bagatti - Valsecchi, che le trasportarono e riassemblarono nella loro tenuta di Varedo (dove ancora sopravvivono).
Anche alcune colonne in granito di Baveno vennero recuperate, e ricollocate nel palazzo Luraschi, in corso Buenos Aires. Per il resto, un po’ di foto, stampe, le pagine dei Promessi Sposi e l’encomiabile libretto di Luca Beltrami, che ne fece accurata descrizione architettonica quandò comprese che nulla lo avrebbe risparmiato dal piccone demolitore.
Anche alcune colonne in granito di Baveno vennero recuperate, e ricollocate nel palazzo Luraschi, in corso Buenos Aires. Per il resto, un po’ di foto, stampe, le pagine dei Promessi Sposi e l’encomiabile libretto di Luca Beltrami, che ne fece accurata descrizione architettonica quandò comprese che nulla lo avrebbe risparmiato dal piccone demolitore.
Operetta tirata in sole 300 copie, delle quali 200 a totale beneficio dell’Ospedale maggiore. Così chiudeva il Beltrami: “...augurandomi che abbia a rafforzarsi sempre più il rispetto per le memorie del nostro passato, le quali spesso si trovano nelle trasformazioni edilizie travolte e compromesse senza fondate ragioni od inevitabili necessità, e senza che vi siano sostituiti dei reali miglioramenti edilizi”. Sante parole ancora attuali!
Mauro Colombo
febbraio 2017
maurocolombomilano@virgilio.it