La storia di Milano, i suoi luoghi, i suoi personaggi. Un blog di Mauro Colombo

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giovedì 26 gennaio 2017

Il nudo censurato nel palazzo BCI del Portaluppi

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Nel 1927 furono approvati i progetti urbanistici per collegare agevolmente, secondo i dettami in voga all'epoca, piazza della Scala a corso Venezia: si vennero così a creare ben presto sia la nuova piazza Crispi (oggi Meda), sia il corso Littorio (oggi Matteotti). 
Gli sventramenti e le demolizioni necessari per tale rivoluzione toccarono anche piazza san Babila, che pagò un alto prezzo in termini di patrimonio storico, come del resto tutta la zona interessata.

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Negli immensi spazi così creati dall'ideale fascista di ordine, pulizia e maestosità, si sfogò la megalomania delle banche, che fecero innalzare le loro imponenti sedi: in piazza Crispi, la Banca Popolare di Milano si affidò al progetto di Giovanni Greppi, mentre al Portaluppi la Banca Commerciale italiana (che già aveva nel decennio precedente imposto la sua presenza in piazza Scala grazie al Beltrami) affidò la costruzione dell'edificio da erigersi proprio accanto al palazzo degli Omenoni, in via Case Rotte.

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Il progetto del Portaluppi (che contestualmente si dedicò anche al restauro dello stesso palazzo degli Omenoni, adottando decisioni alquanto discutibili soprattutto per la ripartizione degli interni) prevedeva un massiccio corpo di fabbrica con colonne e una torre rappresentativa.

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Nel 1930 l'edificio risultava ormai completato, grazie alla celerità della "società anonima Ferraresi e Gandini costruzioni edili Milano", come testimoniano le foto dell'epoca e soprattutto la data che era incisa alla base della torre, esattamente sul bordo di una piccola fontana ornamentale (MCMXXX - IX: 1930, 9° anno dell'era fascista).
BCI commerciale banca portaluppi omenoni case rotteQuasi all'altezza del primo piano della torre, esisteva una nicchia con un altorilievo raffigurante una figura femminile nuda. La trovata del Portaluppi non ebbe largo apprezzamento, e al montare delle proteste di benpensanti e puritani, scattò la censura. Si dovette così rimettere mano alla base della torre, e dopo il 1931 nicchia e donna nuda vennero rimosse.
La scultura venne riposizionata all'interno del cortile, in modo che il corpo nudo risultasse visibile solo ai frequentatori del palazzo e non più ai passanti. La fontana venne rimossa in data successiva, forse perchè danneggiata.
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Mauro Colombo
gennaio 2017
maurocolombomilano@virgilio.it


venerdì 20 gennaio 2017

La tragica morte dell'arch. Alfredo Campanini

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Alfredo Campanini (1873-1926),  nato in provincia di Reggio Emilia ma presto trasferitosi a Milano, si laureò in architettura, presso l'accademia di Brera, nel 1896 (allievo di Camillo Boito).
Già nel 1900 vince il concorso pubblico per la progettazione del padiglione delle Poste e Telegrafi da realizzarsi per l'Esposizione universale di Milano del 1906.
 Ben presto si afferma in città per le sue capacità di impresario edile e progettista, coniugando così, nella sua professione, gli aspetti pratici a quelli artistici.

bellini campanini libertybellini campanini liberty milanoDalla sua fantasia nascono alcune delle più pregevoli costruzioni liberty milanesi: la casa di via Bellini n. 11, con decorazioni plastiche all'esterno e le imponenti  statue femminili in cemento all'ingresso, la casa di via Pisacane n. 12, la casa in via Senato n. 28, con facciata in pietra e l'ultimo piano in ceramica, l'istituto S. Vincenzo, in via Copernico n. 1 (questo in stile neoromanico).
pisacane campanini liberty milano

senato campanini milano liberty

copernico campanini
Quasi sicuramente è sua la realizzazione (coeva al restauro del castello ivi presente) del caratteristico borgo neoromanico di Grazzano Visconti, presso Piacenza, su committenza di Giuseppe Visconti di Modrone.

campanini grazzano visconti

Fuori città, ricordo la bellissima villa Bernasconi a Cernobbio.
Gli anni successivi alla prima guerra mondiale si rivelano meno artistici e più pratici, dedicandosi il Campanini alla costruzione di edifici per abitazioni medio borghesi, senza più quell'impronta che aveva caratterizzato i primi anni di attività.
umbria camapnini morteE fu proprio durante la costruzione di un condominio in viale Umbria che l'architetto, appena cinquantatreenne, trovò la morte, inaspettata e tragica. Una morte del tutto simile a quella di un altro architetto tanto caro ai milanesi, anch'esso dell'Emilia Romagna, Giuseppe Mengoni, il padre della Galleria (1829-1877): una caduta da un'impalcatura di cantiere.

Le cronache dell'epoca ci raccontano che il 9 febbraio del 1926, Campanini era impegnato a verificare le fasi costruttive  dell'edificio (tutt'ora esistente) che stava sorgendo in viale Umbria 76. In tale edificio si sarebbero dovute trasferire le famiglie sfrattate dalle stamberghe di piazza Vetra, della quale l'architetto stava appunto curando la riqualificazione.
Mentre si trovava su un'impalcatura con il giovane carpentiere Ernesto Brusa, comasco, di anni 26, alle 17.10 collassava di colpo l'ala del palazzo alla quale l'impalcatura stessa era ancorata.
I due poveretti precipitarono al suolo, ma mentre il giovanotto se la cavò con leggere conseguenze, il Campanini rimase a lungo intrappolato sotto le macerie, da dove, con flebile voce, tentava di istruire i soccorritori affinchè lo liberassero. Giunsero sul posto "due carri dei pompieri dotati di lampade all'acetilene". Fu infine estratto, ma come scrisse il Corriere della Sera: "il volto apparve irriconoscibile, e in tutto il corpo erano ferite, fratture e lacerazioni. Lo sventurato con gli abiti a brandelli venne pietosamente deposto su una lettiga che si avviò veloce verso l'Ospedale Maggiore".
Il Campanini esalò l'ultimo respiro nel padiglione dell'accettazione.
Si appurò che l'ala crollata poggiava su fondamenta non solide, compromesse dagli allagamenti che in quei giorni si erano verificati per colpa della vicinissima roggia Gerenzana (che correva lungo la via Anfossi).
Forse fu dunque una fatalità, più che un errore progettuale, quello che costò la vita al famoso architetto del liberty milanese, vero artista che oggi riposa al Cimitero Monumentale.

Mauro Colombo
gennaio 2017
ultimo aggiornamento: maggio 2017
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maurocolombomilano@virgilio.it



domenica 8 gennaio 2017

Luigia Battistotti Sassi eroina delle Cinque Giornate


luigia battistotti sassi cinque giornate milano 1848

Nel panorama risorgimentale italiano, e nel nostro caso, milanese, vi è una figura femminile che si distinse sia per il piglio battagliero, sia per aver rappresentato un nuovo modello di donna, attiva e protagonista.
Luigia (o Luisa) Battistotti, vera icona femminile delle cinque giornate milanesi del 1848, era nata vicino a Pavia nel 1824, e si era poi trasferita a Milano per sposare un commerciante che qui aveva bottega, che di cognome, appunto, faceva Sassi.
Donna risoluta e indipendente, era per l'epoca all'avanguardia rispetto alle sue sue concittadine, abituate ad avere un ruolo più marginale,  sempre subordinato a quello dei mariti e dei padri.

battistotti sassi barricate cinque giornate milano 1848


Fin dall'inizio dell'insurrezione antiaustriaca, scese in strada con il proposito di partecipare attivamente alla battaglia. Nella confusione delle prime ore di insurrezione, prima ancora dell'erezione delle barricate, la nostra individuò un drappello di austriaci, strappò le pistole ad un soldato, e ordinò agli altri cinque di arrendersi. Consegnati poi i prigionieri ad un gruppo di Finanzieri (che ricordiamo erano schierati a favore del popolo insorto), dismise gli abiti femminili per organizzare la prima barricata, quella di Borgo Santa Croce.
Accanto ai moltissimi milanesi in armi, la sua figura entrò nella storia e nella leggenda, insieme a quella di tanti altri cittadini comuni che vollero avere un ruolo attivo nella cacciata dell'invasore (tra i quali ricordiamo l'Anfossi, Pasquale Sottocorno o il lattivendolo Meschia).
Il neonato Governo Provvisorio, che prese il potere non appena l'ultimo soldato invasore lasciò la città, le attribuì i giusti meriti: non solo la invitò in Duomo durante il Te Deum di ringraziamento per la vittoria, ma le riconobbe altresì un vitalizio.
luigia battistotti sassi cinque giornate milano 1848Di lei abbiamo anche un ritratto, quello tramandatoci da una incisione che veniva venduta per le strade nei giorni successivi, a testimonianza di quanto fosse ormai popolare. Qualche anno dopo entra persino tra le pagine di un romanzo, "La trovatella di Milano" di Carolina Invernizio.
La Battistotti ovviamente dovette abbandonare la città non appena gli Austrici rientrarono a Milano. 
Sappiamo che nel 1849 tentò di rifarsi una vita oltreoceano, sbarcando negli Stati Uniti, dove morì nel 1876.


luigia battistotti sassi cinque giornate milano 1848

Mauro Colombo
gennaio 2017
maurocolombomilano@virgilio.it



giovedì 15 dicembre 2016

Lo scomparso mortaio austroungarico del Castello



castello sforzesco cannone mortaio skoda 30.5
Questo articolo inizia come le favole.......c'era una volta. Che cosa? Un vecchio mortaio dietro al Castello sforzesco!
skoda 30.5 castello mortaio cannone obicecastello sforzesco cannone mortaio skoda 30.5Tutto ebbe inizio negli anni venti, quando un pezzo di artiglieria pesante, in dotazione, durante la prima guerra mondiale, all'esercito austroungarico, venne posizionato sul piazzale retrostante il Castello sforzesco, verso il parco Sempione.
Una preda bellica in bella mostra, precisamente uno Skoda 30,5 cm Mörser. Un possente mortaio da assedio, che durante la Grande Guerra sparava proiettili fino a dieci chilometri di distanza. Secondo la nomenclatura italiana, un pezzo da 305 mm/8.
Questa presenza, che non passava certo inosservata, è testimoniata da moltissime foto a partire dagli anni venti, nonchè da innumerevoli racconti e ricordi di chi, da bambino, ci giocava attorno con gli amichetti, fantasticando improbabili battaglie.
skoda 30.5 castello mortaio cannone obice

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La possente bocca da fuoco diede il nome allo spiazzo che la ospitava, appunto "Piazza del cannone"  (anche se tecnicamente non era un cannone). Il luogo divenne  un ritrovo anche per gli adulti, magari in vena di ricordi delle terribili giornate passate in trincea, come quelle sull'altipiano di Asiago, dove proprio uno di questi bestioni aveva messo fuori uso almeno un paio di forti italiani (tragico il bilancio al forte Verena).

castello sforzesco cannone mortaio skoda 30.5
castello sforzesco cannone mortaio skoda 30.5Una delle caratteristiche più interessanti del mortaio Skoda era la sua mobilità. Oltre al pezzo vero e proprio, era stato sviluppato anche un convoglio meccanizzato per il trasporto, dotato di una trattrice Austro-Daimler. Progettato dall’ingegnere Porsche, il treno meccanizzato consentiva di spostare in breve tempo il pesante carico bellico, che  poteva essere così collocato in batteria anche dove non arrivava la ferrovia (e difatti trovò largo impiego in montagna).
Di certo, l'ingombrante residuato rimase esposto almeno fino agli anni Sessanta. Poi venne rimosso, forse per effettuare un restauro, o forse perché non più ritenuto un "corretto" arredo urbano.
Da quel momento, si sono perse le sue tracce. Probabilmente accantonato in qualche caserma milanese, potrebbe essere stato successivamente demolito.
Al Museo storico della Guerra di Rovereto (TN) è esposto l'unico esemplare italiano dei quattro pezzi ancora superstiti.
castello sforzesco cannone mortaio skoda 30.5 rovereto

Può interessarti anche: "14 febbraio 1916: Milano bombardata!"

Mauro Colombo
dicembre 2016
maurocolombomilano@virgilio.it









venerdì 2 dicembre 2016

Le foto a colori della Centrale durante la guerra


stazione centrale milano guerra walter hollnagelAnche se la fotografia a colori era da tempo stata inventata, l'era della fotografia a colori "moderna" iniziò solamente nel 1935, con la pellicola per diapositive Kodachrome, seguita dalla Agfacolor.
Per tale ragione siamo abituati a vedere le immagini di Milano durante la seconda guerra mondiale in bianco e nero.
Naturalmente qualche eccezione esiste.
Ad esempio, queste due fotografie a colori scattate all'interno della nostra Stazione centrale nell'agosto del 1944, in piena occupazione nazista. Si tratta quindi di una testimonianza inusuale.

stazione centrale guerra walter hollnagel

Sono opera del tedesco Walter Otto Hollnagel (1895-1983). Entrato da giovane nel dipartimento delle ferrovie tedesche (Reichsbahn) in qualità di disegnatore tecnico, divenne presto ispettore, facendo una discreta carriera. Da sempre appassionato di fotografia, durante il conflitto mondiale venne distaccato come fotoreporter al Ministero dei Trasporti, con l'incarico di documentare il servizio ferroviario tedesco negli Stati occupati militarmente dalle forze naziste.
Il suo compito era di propagandare il servizio ferroviario, mettere quindi sempre in una luce positiva il Reichsbahn.
Lasciò inoltre toccanti immagini della stazione di Verona devastata dai bombardamenti angloamericani, e di altre stazioni italiane colpite dagli attacchi aerei.

Mauro Colombo
dicembre 2016
maurocolombomilano@virgilio.it
 
Per i bombardamenti su Milano durante la seconda guerra, clicca qui.

sabato 19 novembre 2016

1896: il cinema arriva a Milano



cinema milano lumiere

cinema milano lumiereI fratelli Auguste e Louis Lumière, dopo aver lavorato per anni accanto al padre, rinomato produttore fotografico, iniziarono ad interessarsi alla pellicola cinematografica dal 1892. Ben presto, superati i noti problemi tecnici fino ad allora riscontrati dai pionieri della materia, brevettarono il "cinematographe" il 13 febbraio 1895. Pochi mesi dopo realizzarono il loro primo film: "La sortie des usines Lumiere". Pochi secondi, ma entrati nella storia.
La prima proiezione in pubblico avvenne il 28 dicembre dello stesso anno, al Gran Cafè (nel sotterraneo chiamato salon indien), in Boulevard des Capucines, naturalmente a Parigi. Ingresso un franco, 33 spettatori, nessun giornalista benchè invitati. Un mezzo flop, si pensò subito. Tuttavia, il passaparola fece sì che, nell'arco di pochi giorni, già si formassero file di duemila persone pronte ad assistere al prodigio.

In Italia, un ampio resoconto della novità transalpina lo diede il Bollettino mensile del circolo fotografico lombardo.  Un'esaustiva spiegazione scientifica, corredata da illustrazioni, aveva incuriosito molto i lettori circa le meraviglie promesse da questo nuovissimo apparecchio. Si faceva notare come tutti i difetti dei precedenti esperimenti in materia (la fotografia in movimento, il fucile fotografico di Janssen, il Kinetografo-Kinetoscopio di Edison) fossero stati finalmente superati. Ora era possibile ammirare su un grande schermo scene in movimento, come una via animata, l'uscita degli operai dalla fabbrica, e altre brevi riprese, quelle all'epoca nel catalogo dei film dei fratelli Lumiere.

principe umberto cinema lumiere milanoA Milano, il sistema cinematografico Lumiere fu presentato per la prima volta presso i locali del Circolo Fotografico, in via Principe Umberto 30 (oggi via Turati).
Era il 29 marzo 1896. Un numero limitato e selezionato di milanesi potè così assistere alla proiezione delle brevi scene in movimento.

Il giorno seguente, 30 marzo, la nuova forma di intrattenimento fu presentata ad un vero pubblico, quello del Teatro Milanese, in corso Vittorio Emanuele 15 (dove poi sorgerà il famoso Hotel Splendid al Corso, con la sotterranea sala Trianon).
Il Corriere riporta, nel trafiletto dedicato agli spettacoli teatrali, la programmazione del Milanese, segnalandola come "La fotografia animata".

Lo stesso teatro continuò a proiettare per tre mesi e mezzo circa, e dopo una pausa estiva,  ricominciò dal 3 settembre.
Durante l'estate, tuttavia, l'invenzione del secolo poteva essere ammirata in altri due teatri: il Gerolamo di piazza Beccaria, e il Filodrammatici di piazza Ferrari.

pacchioni cinema milano lumiereIn questo stesso anno, Italo Pacchioni (che con il fratello aveva aperto in città uno studio fotografico) riuscì a costruire (dopo una proficua gita a Parigi) un apparecchio di ripresa e riproduzione simile a quello dei Lumiere, ma con interessanti modifiche, con il quale riuscì ad attirare un discreto pubblico, presso il suo locale alla fiera di Porta Genova.  
pacchioni milano film cinema lumiereEgli iniziò a girare propri film, che mostravano scene di vita quotidiana milanese, soffermandosi su scorci caratteristici (il Castello Sforzesco, nel "Finto storpio" - 1896) o attraverso cerimonie e avvenimenti, come i funerali di Giuseppe Verdi (1901).
Non solo queste opere entrarono nella storia come le prime produzioni cinematografiche realizzate nel nostro Paese, ma sono oggi testimonianze uniche di come appariva la città di Milano a fine ‘800.

dal verme cinema film milano lumiere Dal 1897 in avanti, la "settima arte" (che ormai poteva contare numerosi produttori di film) si diffuse in altri teatri e sale d'intrattenimento milanesi, quali il Dal Verme, l'Eden, l'Alhambra presso l'arco del Sempione.

alhambra cinema lumiere sempione

Nel 1899, il 4 ottobre, una proiezione con apparecchio American Biograph  si svolse presso un locale di Palazzo Soncino (Via Torino angolo con omonima via). Qui nascerà poi, nel 1910, la Sala Marconi, che regalava al pubblico pagante proiezioni continue fin dal mattino.
apollo centrale cinema duomo Secondo gli storici, la prima vera sala cinematografica aperta a Milano è la Sala Edison di via Cantù, che tal Ercole Pettini inaugura nel 1904.
E se nel 1907 la Rivista Fono-cinematografica scriveva che la nostra città contava solo una dozzina di sale, a causa delle proteste di vicini, dei padroni, della vigilanza (mentre a Parigi erano già 120, e Roma 52), dal 1909 iniziarono finalmente a vedere la luce numerose sale cinematografiche, quali il Garibaldi, il Centrale in piazza Duomo, sotto i portici settentrionali, il contiguo Apollo, il Brera in via Solferino, il Napo Torriani in via Torriani angolo via Tenca, alle quali nel 1911 si aggiunse il Palace di Corso Vittorio Emanuele.

cinema palace milano lumiere film



Il nuovo genere d'intrattenimento aveva ormai preso piede: da allora, a Milano apriranno decine e decine di sale (ben 66 nel 1930, anno in cui, peraltro, arrivò il sonoro).
Fu però nel secondo dopoguerra che Milano fu letteralmente invasa da sale cinematografiche, basti pensare che nel 1970 se ne contavano (tra prime, seconde e terze visioni) ben 120.

Per vedere il film di Pacchioni girato all'interno del Castello sforzesco nel 1896, clicca
qui




BIBLIOGRAFIA
AA.VV., Il cinematografo, invenzione del secolo, 1994
De Berti R., Un secolo di cinema a Milano, 1996
Sito web: giusepperausa.it


Mauro Colombo
maurocolombomilano@virgilio.it
novembre 2016


venerdì 28 ottobre 2016

La Milano settecentesca del Bellotto



bernardo bellotto milano castello eufemia giureconsultiBernardo Bellotto nacque a Venezia nel 1721, nipote del famosissimo vedutista Antonio Canal "il Canaletto".
Iscrittosi diciassettenne alla corporazione dei pittori veneziani, ebbe la fortuna di poter imparare il mestiere dal celebre zio.
Nel 1744 Bellotto effettuò un viaggio in Lombardia, all'epoca sotto il dominio austriaco, molto probabilmente chiamato dal conte Antonio Simonetta (ultimo discendente della casata, proprietario della famosa villa omonima) e da sua moglie Teresa Castelbarco, il cui salotto era uno dei più frequentati di Milano. 
Per loro dipinse due vedute agresti, "Vaprio e Canonica verso nord-est" e il controcampo "Vaprio e Canonica verso sud", raffiguranti l'ameno sito lungo il fiume Adda in cui si trovava la vasta tenuta agricola del Monasterolo, di proprietà appunto dei Simonetta.
Durante questo fortunato soggiorno, Bellotto dipinse anche tre vedute di Milano.
Una su committenza del cardinale Giuseppe Pozzobonelli, all'epoca arcivescovo di Milano, e precisamente "Le chiese di Sant'Eufemia e di San Paolo Converso". 
Di committenza invece incerta sono gli altri due dipinti: "Il Castello" e "Il palazzo dei Giureconsulti e il Broletto Nuovo".

Le chiese di Sant'Eufemia e di San Paolo Converso

 

bellotto milano eufemia paoloImmerse in una atmosfera alquanto campagnola, pur trovandoci all'interno della cerchia del naviglio, lungo corso San Celso (oggi corso Italia), le due chiese appaiono nella loro veste primitiva. In particolar modo, sant'Eufemia ha la facciata precedente le modifiche "creative" del Terzaghi effettuate nel 1870. 
San Paolo risulta simile ad oggi, eccezion fatta per la mancanza degli angeli in facciata che nel dipinto svettano sullo sfondo del bel cielo azzurro.




Il Castello

 

bellotto castello sforzesco milanoAll'epoca utilizzato dagli austriaci quale caserma per il contingente di stanza a Milano, appare molto diverso da come lo vediamo oggi, dopo i profondi rifacimenti e restauri tardo ottocenteschi del Beltrami.
In particolar modo, le due torri (di Santo Spirito e del Carmine) appaiono "cimate", quindi più basse di oggi e di come erano durante l'epoca dei Visconti e degli Sforza
L'abbassamento delle torri era stata una scelta militare, finalizzata anche al posizionamento di bocche da fuoco. Manca naturalmente la torre del Filarete, crollata in seguito allo scoppio della polveriera nel cinquecento, anche questa poi ricostruita dal Beltrami nei primi anni del novecento.
Attorno al castello si nota la cortina muraria che verrà poi abbattuta in periodo napoleonico.



Il palazzo dei Giureconsulti e il Broletto nuovo

 

bellotto giureconsulti broletto nuovo ragione milano 
Il dipinto mostra i due importanti edifici civili milanesi, oggi affacciati su via Mercanti, all'epoca facenti parte della vasta piazza Mercanti, ancora chiusa e con i sei accessi corrispondenti ai sei sestieri cittadini. Nel dipinto si nota infatti, sullo sfondo, il caratteristico passaggio coperto che conduceva alla piazza del Duomo, del quale vediamo la  facciata ancora in costruzione.
Il Broletto nuovo, o palazzo della Ragione, era all'epoca ancora privo del caratteristico sopralzo che vediamo oggi, con le finestre tonde, voluto da Maria Teresa d'Austria nel 1773.
Il palazzo dei Giureconsulti (o dei Nobili Dottori) venne realizzato dal Seregni su committenza di papa Pio IV, il papa milanese.
Nella zona d'ombra, si nota il pozzo, che oggi si trova nella piazza Mercanti, dopo lo spostamento per motivi viabilistici avvenuto in epoca recente.
bellotto palazzo giureconsulti




Mauro Colombo
ottobre 2016
maurocolombomilano@virgilio.it





















giovedì 13 ottobre 2016

Miracolo a Milano (la città di De Sica)


Miracolo a Milano De Sica Zavattini

Milano è stata scelta molto spesso quale "location" per lungometraggi (più di 500!), anche se a volte si tende a dimenticare questo aspetto.
Nel 1932, la pellicola "Gli Uomini che mascalzoni" fu il primo film italiano girato in esterni anzichè in teatri di posa. E il set furono vie e piazze cittadine.
Da allora Milano divenne la scenografia ideale per film di ogni genere, cosicchè soprattutto le pellicole degli anni cinquanta, sessanta e settanta ci  regalano oggi un importante documento di come fosse la città.
Uno dei film più datati e con interessanti scorci ormai spariti è "Miracolo a Milano". Distribuito nelle sale nel 1951, ci restituisce immagini di una città che stava cambiando pelle e architettura, ancora deturpata dalle cicatrici della guerra da pochi anni terminata e afflitta da una crisi economica che rendeva davvero dura la vita di tantissime persone. 
E con grandi contraddizioni: la mancanza di case e le baracche da un lato, i nuovi edifici moderni e i grattacieli in costruzione dall'altro, la povertà di chi non riusciva a riprendersi e la ricchezza che avanzava insieme al progresso.
Film realista ma al contempo fantastico, dove il ricorso all'allegoria è giustificato dal periodo storico in cui venne girato (il potere democristiano era ormai ben consolidato) è il frutto della collaborazione tra De Sica e Cesare Zavattini (al cui sodalizio si devono alcuni tra i principali capolavori del neorealismo cinematografico).
Miracolo a Milano De Sica Gioia
De Sica sul set, via Gioia con la Martesana
In questo caso, il soggetto di Zavattini nasce quale abbozzo durante la guerra, e viene poi pubblicato da Bompiani nel 1943 con il titolo "Totò il buono".
De Sica iniziò le riprese del film durante il freddo e nevoso febbraio del 1950, e Milano diventò così per alcuni mesi il set ideale per le avventure che i personaggi sono chiamati a sopportare.
Il lungometraggio è girato in varie zone, alcune periferiche, altre centrali.
Così, il carro funebre seguito dal piccolo Totò percorre via Melchiorre Gioia con la Martesana ancora scoperta, viale Certosa, attraversa piazza della Repubblica.

Miracolo a Milano De Sica Gioia

Miracolo a Milano De Sica Gioia

Miracolo a Milano De Sica Repubblica

Miracolo a Milano De Sica Repubblica
Miracolo a Milano De Sica Elvezia GileraLa baraccopoli si trova tra Città Studi e Lambrate, lungo la  via Valvassori Peroni.
Immancabile il ghisa milanese, che dirige il traffico in viale Elvezia, all'altezza del civico numero 2, dove spiccano le vetrine del motoconcessionario Gilera, ora sostituito da un ristorante.
E poi la Scala, la Galleria, il Duomo,  con il fantastico volo sulle scope dei netturbini.
Miracolo a Milano De Sica Duomo

Miracolo a Milano De Sica Gioia
Un film senz'altro da vedere (ora in versione restaurata), con un occhio attento agli scorci della città per notarne i cambiamenti.
Per una bella carrellata di immagini prese dalla pellicola messe a confronto con la Milano d'oggi, clicca qui

Mauro Colombo
ottobre 2016